Animal Kingdom
di David Michod
con JamesFrecheville, Joel Edgerton,BenMendelsohn, Guy Pearce
genere, drammatico
Aus 201
durata, 115'
Da tempo il Cinema aussie sta raccontando la transizione
attuale sbirciandola dal particolare punto di vista separato degli antipodi.
Transizione tipizzata, come si sa - da quella parte del mondo come da questa -
da talmente tanti tratti reiterati e interscambiabili che una sua malaugurata
implosione comporterebbe scompensi su scala planetaria. Del resto, lo spartito
e' questo, riporta stringate strofe ed un solo ritornello: avidità,
attaccamento oramai quasi inconscio al denaro, nessun contatto o
sporadico-turistico con l'ambiente naturale vissuto come mero magazzino per
l'approvvigionamento di materie prime. E un quieto vivere sinistramente
somigliante alla rassegnazione, spesso in conflitto con una condizione gemella
ai limiti dell'esclusione sociale che a quella stessa rassegnazione, in fondo,
non e' così estranea. Come pure, riduzione del dialogo a livorosa semi-afasia,
frantumazione dei rapporti, ricorso alla scorciatoia della violenza, sempre più
crudele - questa - sempre più insensata et...
Siffatti temi ben si sposano a narrazioni di ambientazione
metropolitana o (con una certa assiduità in Australia) suburbana;
a scampoli di esistenze o fatti consumatisi sul crinale
spesso rosso-sangue della cronaca (in quei meandri, a dire, che intrecciano in
un viluppo non di rado letale, impotenza, rancori senza sfogo e alienazione): a
circoli viziosi che irrobustiscono le spire del crimine e mettono alla prova la
resistenza del cosiddetto sistema. Ad uno dei molteplici crocevia di così
stringenti e contraddittorie sollecitazioni, s'incontra un film come
"Animal kingdom" di David Michod (qui all'esordio nel lungometraggio,
alle prese con una vicenda ispirata ad eventi realmente accaduti e il cui
ultimo parto, "The rover", e' reperibile su queste pagine) e la
figura del giovane protagonista Joshua Cody, detto "J" (Frecheville)
- elemento di frattura sul percorso delle oscillazioni di un gigantesco pendolo
esistenziale - il nostro - animato nel profondo da un perverso motu proprio
entro gli opposti punti limite dell'apatia, da un lato, e della crudeltà,
dall'altro - il quale, e siamo solo agli inizi, seduto sul divano di fronte ad
uno show televisivo, in attesa che i paramedici si presentino e rimuovano il
corpo della madre vinto dall'eroina, si prepara a condensare una manciata di
parole che, da li' in avanti, terra' sempre ben presente:
"Sono un ragazzo come gli altri... ragazzi che stanno
dove devono stare e fanno quello che devono fare". La concretezza e la
sottesa inderogabilità di un assunto del genere trova ben presto adeguato campo
di applicazione allorché J si trasferisce nella casa/tana di nonna Janine,
detta "Smurf" (Weaver), e dei suoi tre cuccioli, ognuno ben avvezzo
alle arti varie della delinquenza: Andrew (Mendelsohn), detto "Pope",
tipo scontroso e sfuggente, quanto spiccio nell'ideare e mettere in atto
rapine; Craig (Stapleton), instabile, paranoico e attaccabrighe ma, a conti
fatti, infantile spacciatore; e, infine, Darren (Ford), robusto e dai tratti
gentili (stuzzicato spesso dai fratelli circa la sua presunta omosessualità)
che - magari proprio in ragione di una qual autentica doppiezza caratteriale -
si barcamena tra i lavori di "Pope" e i maneggi di Craig. Michod -
con un accorto uso di movimenti laterali/avvolgenti della mdp - descrive il
regno animale di questo aggregato umano, alternando inquadrature (dominate dal
contrasto buio/interni, chiarore radente/esterni) che privilegiano i piani
ravvicinati, a quelle in cui l'agitarsi nervoso dei singoli s'impone. Lascia,
quindi, che l'ansia si accumuli, risolvendola pero' spesso - sottile perfidia -
non nell'esplosione cruenta degli antagonismi interni al branco bensì per il
tramite della matura leonessa. Janine, madre e nonna che abbraccia e bacia la
sua carne qualunque sproposito l'hybris stravolta di questa abbia portato a
compimento o stia ancora progettando.
Nelle ore che scivolano uguali le une nelle altre, J prende
così dimestichezza con le nuove dinamiche di gruppo: scambiando sovente con gli
altri sguardi da vasca di squali, apprende lo stare al mondo regolato da schemi
(prontezza di esecuzione, omertà, fedeltà/tradimento, progressivo montare della
solitudine personale) difficilmente eludibili. Metabolizza condotte arcaiche,
perentorie e brutali, affini ad una ferinità elementare ma implacabile che
trova perversa continuità e paradossale linfa vitale in un deforme guazzabuglio
fatto di silenzi inerti, di dialoghi che rimestando un'umanità esausta e
perdente annientano, di fatto, ogni tensione condivisa che non sia quella della
sopravvivenza purchessia: tutto nella prospettiva in apparenza risolutiva del
procacciamento del denaro/cibo. Ed, in un senso più vasto, dilaga, questa
suddetta ferinità - finendo d'incistarsi - nelle periferie amorfe e silenziose,
la cui desolazione, materiale e morale, sembra essere solo il portato più
evidente - oltre che un grido roco nel vuoto - del contrasto radicale tra l'incedere
normalizzatore della ragione tecnica e l'immanenza di un paesaggio, per quanto
sfigurato, ancora minaccioso perché irriducibile. Lo zoofamiliare dei Cody
percorre, in tal modo, le linee già tracciate di una stanca ripetizione, cui
nemmeno la controparte sana pare davvero opporsi (la Polizia - con al centro
delle indagini il determinato sbirro Nathan Leckey/G.Pearce - utilizza con
cinica risolutezza metodi non meno ambigui e spietati di quelli che le vengono
riservati) eternando una sorta di transumanza a perdere sui sentieri
dell'indifferenza e della distruzione di se'.
Avvolto in un impassibile disincanto, gli equilibri del
quale s'instaurano e si sbrogliano secondo le disposizioni di un rigido
determinismo a base d'istintualità cieca e prevaricazione, "Animal
kingdom" si offre come testimonianza di un malessere allo stesso tempo
diffuso e anestetizzato dalla noia e dal disgusto; come il referto australe cui
non resta che riordinare - per quanto possibile - reperti degradati di
un'infezione che, pressoché indisturbata, ha raggiunto, giorno dopo giorno,
anche il cuore di J, degno conquistatore sul campo di un proprio posto al sole
nella catena alimentare. TFK