Paese: Germania
Regista: Fritz Lang
Titolo originale: M – Eine Stadt sucht einen Mörder
Durata: 96 minuti
Anno: 1931
Genere: Noir, thriller
Attori: Peter Lorre, Inge Landgut, Gustaf Gründgens
Voto:
Trama: (tratta da Wikipedia) In una città tedesca (il film è ambientato a Berlino ma il titolo italiano richiama il caso di cronaca del 1925 che ha ispirato il film, avvenuto a Düsseldorf) la popolazione è terrorizzata da un maniaco (a quanto sembra un pedofilo) che ha adescato e ucciso otto bambine. La polizia è messa sotto pressione dall’opinione pubblica quando il mostro uccide un’altra bambina. Si impegna a fondo nella ricerca, ma non dispone di nessun indizio. La popolazione cade nel panico, molti arrivano ad accusarsi a vicenda. L’assassino manda alla polizia una lettera, che è pubblicata nei giornali. I poliziotti organizzano numerose retate nei quartieri frequentati dalla malavita, creando gravi problemi alle associazioni criminali della città. Le maggiori organizzazioni criminali decidono quindi, per ridurre la pressione della polizia nella città, di trovare il mostro, chiamando un capo originario del luogo ma ricercato dalla polizia di molte nazioni, che organizzerà la ricerca usando anche i mendicanti come spie per le strade (…)
Recensione: Il mostro di Dusseldorf è un film che mi è capitato di vedere, nel corso degli anni, molte volte. L’ho sempre trovato intenso e terribile. Terribile per il non detto, il sottinteso. L’orrore è prodotto dagli articoli di giornale, dalle voci che si rincorrono, dal dolore della madre per la figlia che non ritorna. Una città intera è messa in subbuglio. Il criminale non è avversario di pochi ma di tutti. Inoltre è invisibile, può essere chiunque. E chiunque può essere arrestato, sottoposto a interrogatorio: cosa inevitabile quando mancano indizi e si brancola nel buio.
Le indagini dei poliziotti altro non fanno che stanare mariuoli, ladri, giocatori d’azzardo oltre a rapinatori, assassini. Tutta gente che nulla vuole avere a che fare col mostro, la prima, dopo le madri, a odiare colui che in essa si nasconde.
Non è certo necessario spiegare l’orrore insito nei delitti perpetrati dal mostro:
È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. (Luca 17:1-2)
Il giudizio evangelico è severissimo. Il tenore dei versetti è tale che la pietra da mulino andrebbe posta anche solo nel concepire certe cose. Il monito è di per sé preventivo, perché una volta premeditate e attuate, si è perduti, non c’è possibilità di perdono.
Nel film l’abisso, lo spartiacque tra il mostro e gli altri criminali è enorme, diventa un pozzo senza fondo. Da questo discende tutto l’orrore della vicenda.
I malfattori medesimi hanno interesse a che ritorni l’ordine. Eternamente braccati a
Non puoi rubare un orologio in pace che ti ritrovi la polizia. Non hai più una vita privata.
Chi è, ci domandiamo, il mostro? Perché è così difficile da individuare? É presto detto: si nasconde bene, è invisibile. Il mostro non si trova perché non è un criminale, ma una persona apparentemente innocua, normale. O meglio: non è un criminale ordinario, sono gli istinti del momento – si dice nel film – a fare l’assassino. Ecco che si profila un degno erede di Mr. Hyde.
Finché si fosse cercato il mostro, questi si sarebbe sempre celato, nascosto dietro le sembianze di un uomo normale e insospettabile. Occorreva trovare quest’ultimo (ma come?) per fermare l’altro.
Si può affrontare Mr. Hyde? No. É più semplice arrestare il dottor Jekyll.
Sembra paradossale ma è proprio questa la chiave di comprensione del film. L’ho capito scrivendo queste righe.
Dracula si elimina quando dorme; il Fantasma dell’Opera (sto pensando alla versione cinematografica di Ruper Julian del 1925) si bastona quando è fuggiasco e indifeso.
La stessa cosa, per certi versi, avviene quando si riesce a identificare in Hans Beckert il mostro. La malavita, controllando a palmo a palmo ogni angolo di strada, proteggendo da lontano i bambini che avessero la ventura di trovarsi soli, o di accompagnarsi a tetri figuri, riuscirà a individuarlo. Contemporaneamente, seguendo altre piste, al suo nome è giunta anche la polizia. Accerchiato tra due fuochi (la polizia e la malavita) presto non avrà via di scampo. Quale delle due gli porrà sul collo la macina? Sarà una macina vera (come minaccia la malavita) o quella del diritto?
Di solito i film di cassetta hanno un finale frettoloso: l’assassino, il criminale, il fantasma, il mostro è assicurato alla giustizia o vittima del linciaggio. La parola FINE comincia a prendere forma sullo sfondo, non c’è altro da aggiungere. Nel film di Jesse Franco (Dracula 1969) e in quello di Rupert Julian (Il Fantasma dell’Opera 1925) avviene questo. Eliminato il nemico, si ripristina l’ordine violato, come d’incanto, almeno in apparenza.
Nel caso del mostro di Dusseldorf la cosa si fa più complessa.
C’è il terrificante monologo di Hans Beckert (vedi QUI). Non capisci bene se sia un’arringa difensiva o un mea culpa. Direi tutte e due. É un’arringa difensiva perché dichiara di essere malato e impotente dinanzi al suo istinto; è un mea culpa perché riconosce il proprio stato. In quel momento è egli stesso il suo accusatore. Odia, detesta e ha orrore di una parte di sé. Ma allora perché non si è costituito alla polizia? Perché non si è messo il giogo della legge (se non una reale macina da mulino)?
Se il mostro non può fare a meno di essere quel che è, la responsabilità ricade su chi l’ha importunato o risvegliato (penso a Grendel o al Drago di Beowulf), o creato (penso a Victor Frankenstein e al dottor Jekyll). Da ultimo la responsabilità (per la mancata custodia) ricade sulle madri, sulla società medesima. In una parola: su noi tutti.