[Film Zone] Il settimo sigillo di Ingmar Bergman (1957)

Creato il 21 agosto 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Il settimo sigillo
Paese: Svezia
Anno: 1957
Durata: 92’
Colore: Bianco e Nero
Genere: drammatico
Regia: Ingmar Bergman
Soggetto: Ingmar Bergman (dal suo dramma Pittura su legno)
Personaggi principali: Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe

  Voto:

 

Trama: (tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/Il_settimo_sigillo)

In una Scandinavia dove imperversano peste e disperazione – vengono nominate Roskilde ed Elsinore – torna dalle crociate in Terra Santa il nobile cavaliere Antonius Block. Sulla spiaggia, al suo arrivo, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto quel momento per portarlo via. Il cavaliere decide di sfidarla a scacchi. La partita si svolge nel corso di vari incontri tra Block e la Morte.
Durante la partita, Antonius e il suo scudiero Jons, attraversando la Scandinavia, incontrano molte persone, le quali, prese dalla paura della morte, si sottopongono a violente pratiche per l’espiazione dei propri peccati, e altri che inseguono gli ultimi piaceri prima della fine.
Il cavaliere s’imbatte anche in una famiglia di saltimbanchi, che sembrano non accorgersi della tragedia che li circonda, uniti solo dall’amore reciproco e da un sincero rispetto. Questo incontro aiuterà Antonius a ritrovare la fede e l’unione con Dio. Allora egli accetta di morire sacrificandosi per la coppia di innamorati (…)

Recensione: Un crociato (Antonius Block interpretato da  Max von Sydow) ritorna al suo Paese dopo una guerra sanguinosa. Una presenza fino a ora furtiva, che gli è stata costantemente accanto, si palesa. E’ la Morte.

“Sei pronto?”

“Il mio spirito lo è. Non il mio corpo… Dammi ancora del tempo”

“Tutti lo vorrebbero, ma non concedo tregua.”

“Giochi a scacchi, vero?”

“Come lo sai?”

Il crociato non scappa, non fugge come il soldato di Samarcanda. Sa benissimo che non servirebbe a niente, sarebbe fatica sprecata. Da questo discende tutta la drammaticità della scena. Antonius sfida la morte a una partita a scacchi, un po’ per guadagnare tempo, ma anche per verificare che essa non abbia mai perduto un gioco. Il volto di Antonius si illumina, chissà se non possa guadagnare la sospirata eccezione, aver salva la vita dando scacco alla morte:

Forse anche la morte può commettere un errore”

Il dramma non si fa attendere. Antonius Block vuole una rivelazione, chiede che si diradino le nubi della sua coscienza. Vuole sapere.

Entrato in chiesa, esprime il suo turbamento in confessione:

“Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi. Voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto, voglio che mi parli”.

“Il suo silenzio non ti parla?” risponde dalla grata il monaco, nel quale Antonius riconoscerà la Morte, che lo invita a proseguire la partita nel successivo incontro.

Chi si nasconde dietro il nulla, al di là? Da questo dubbio scaturisce la paura, l’orrore, dalla difficoltà di “intagliare nella propria paura un’immagine, alla quale poi dare il nome di Dio”. Antonius non può e non vuole morire prima d’aver trovato una risposta, quella dell’ultimo istante che tanto teme. Tutto si gioca in quell’ultima ora: quando i dubbi si sciolgono, tra illusione e certezza.
Se si trattasse della certezza del nulla? Se morire significasse soccombere all’orrore e alla disperazione?
Eloquente è lo sguardo di terrore della povera donna condannata al rogo per stregoneria perché accusata di intendersela con il demonio. Antonius le si avvicina, vuole incontrarlo – il demonio – dentro gli occhi di lei e  domandargli di Dio:

“Lui sicuramente deve saperne più di ogni altro.”

Ciò che vede è solo ciò che li accomuna, il loro “disperato terrore“.
Chi veglia mai su di lei, di fronte al patibolo? Il Nulla, afferma dolorosamente lo scudiero che accompagna Antonius.

“La sua coscienza sporca si sta accorgendo del  nulla che la sommerge”, ecco la fonte del terrore e dell’orrore.

“No, non può essere” gli fa eco il crociato, digrignando i denti, tentando di ribellarsi.

“Noi vediamo quello che vede lei, il nostro terrore è uguale al suo” è la risposta.

Nel film il dramma si amalgama col comico e il grottesco. Antonius Block nel suo peregrinare incontrerà una famiglia di saltimbanchi: il buon Jof, sua moglie Mia e il piccolo Michail. Il capocomico, di nome Skat, li ha abbandonati dopo l’ultimo spettacolo allontanandosi con la consorte di un fabbro (un certo Plog).
Ricomparirà più avanti, nella foresta, quando, per salvarsi dall’ira del marito tradito, ricorrerà alle sue doti di attore  simulando un suicidio. Sembra di trovarsi di fronte a una scena shakesperiana. Non c’è bisogno di dire che i dialoghi sono molto curati, veri pezzi da antologia. Ritrovatosi solo e vivo, in mezzo alla foresta, il capocomico sale su un albero per  aver ragione sulle fiere notturne:

“E adesso mi arrampicherò su un albero. Almeno trascorrerò la notte al sicuro.”

Ma proprio ora compare la Morte, venuta a segare quella pianta.
Non valgono piagnistei o ragionamenti. La sua ora è suonata:

Ho uno spettacolo… un contratto!”

“Annullato!”

“Non c’è una scusa, una particolare eccezione per gli attori?”

Inquietante e grottesca è l’espressione di vivo terrore di Skat quando l’albero cede, e lui con il ramo che lo sosteneva.
La fuga è totalmente inutile. L’importante è trovarsi pronti. E’ quanto ha capito fin dall’inizio Antonius Block.
La Morte non insegue nessuno. Ti trova dove è stabilito: sotto l’albero sul quale credevi di trovar riparo, dentro il Castello dove ti sei rifugiato contro l’imperversare della tempesta, a Samarcanda quando il giorno prima eri ancora a Bagdad a far festa, tra musicanti e vino.
Non dissimile è la storia raccontata nella famosa canzone: un uomo, anche lui al ritorno dalla guerra, incontra una donna vestita di nero, nella quale riconosce la morte. Ha paura, si reca nientemeno che dal sovrano (in una fiaba indiana è Re Salomone) il quale gli fa dono di un cavallo velocissimo, in modo da seminare la nemica.
E corre, corre a una velocità pazzesca, giungendo alla via di salvezza – crede lui -, e ritrovando ad attenderlo, con un velo di ansia, la sua inseguitrice: “Meno male, credevo non arrivassi in tempo”, dice traendo un sospiro di sollievo. Immaginiamo invece il terrore di chi si rende conto dello smacco (o dello scacco), di chi ha tentato una resistenza disperata (e non eroica), di chi fuggendo, in realtà, non fugge. Nessuna eccezione è concessa:

“… non concedo tregua”.

La Morte non deve ragionare, non deve pensare. In fondo non sa niente. E’ una mera esecutrice. Nemmeno lei è in grado di rispondere alle domande di Antonius Block:

Allora non sai niente?”

“Non mi serve sapere.”

C’è in mezzo tutta la tragedia shakesperiana, l’eco del monologo di Amleto. Sennonché…

Sennonché qualcosa è successo.

Antonius ha fatto cadere le pedine urtandole con le larghe maniche del suo abito. La Morte ne è quasi divertita, sa benissimo com’erano disposti i pezzi.  Li risistema, e fa scacco matto, vincendo la partita.

A me piace pensare che la partita è stata vinta da Antonius: ora è pronto.

Ha avuto qualche giorno in più per capire, o tentare di capire. La famiglia di saltimbanchi alla quale si era accompagnato con il suo scudiero e pochi altri,  ha modo di fuggire e di uscire dalla foresta, approfittando proprio delle ultime mosse della partita.

“Forse la morte può commettere un errore“: è vero.  Nel risistemare i pezzi sulla scacchiera una torre che prima era rovesciata, ora è in piedi. La memoria l’ha tratta in inganno (o la fretta di concludere? Poco importa se si tratta di una svista dello stesso regista).La Morte vince senza vincere, e c’è chi fugge riuscendo a sfuggirle.


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