Il quattrocentesimo anniversario, nel 2005, della pubblicazione dell'immortale capolavoro di Cervantes, El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha (1) ha fornito l'occasione di vedere o rivedere alcuni esempi della vastissima produzione cinematografica su don Chisciotte (2). Solo alcuni, inevitabilmente, giacché l' hidalgo mancego è stato protagonista di film innumerevoli. Come non ricordare, in epoca muta, un Don Quixote (USA 1915) di Edward Dillon dove a don Chisciotte (DeWolf Hopper) si affiancava come Sancho il sommo comico ebreo Max Davidson! Sempre nel muto, troviamo un Don Quixote britannico del 1923 diretto dall'oggi riscoperto Maurice Elvey. Nel 1947 in Spagna Fernando Gil gira un Don Quijote de la Mancha con Rafael Rivelles e Juan Calvo; messicano-spagnolo è Don Quijote cabalga de nuevo del 1973, di Roberto Gavaldon - e infatti il grande attore spagnolo Fernando Fernán-Gomez interpreta don Chisciotte mentre nei panni di Sancho troviamo il popolare comico messicano Cantinflas. Lo stesso anno, per la tv americana Alvin Rakoff accoppia nei due ruoli Rex Harrison e Frank Finlay in The Adventures of Don Quixote. Recente è, sempre per la tv Usa, un Don Quixote di Peter Yates (2000), interpretato da John Lightgow e Bob Hoskins.
Essendo diventato un archetipo, e in quanto tale quasi svincolato dal romanzo, don Chisciotte non soltanto fa capolino come citazione in mille testi e film (ad esempio, interpretato da Arnoldo Foà, ne I cento cavalieri di Cottafavi), ma si lascia proiettare facilmente sull'autore di un film, tanto più se è dedicato allo stesso hidalgo - esempio, Orson Welles - o addirittura sull'attore: come il Jean Rochefort malato e caparbio di uno straziante passaggio di Lost in La Mancha di Keith Fulton e Louis Pepe, recente documentario sul Quixote mancato di Terry Gilliam.
Si potrebbe anche ipotizzare con piena legittimità di ampliamento testuale la versione "nera" di un don Chisciotte integralmente demente, chiuso e degradato nella sua allucinazione e follia. Ma ciò non accade mai: perché la verità è che lo amiamo. Già in Cervantes la nobiltà del personaggio fa premio sul ridicolo: ironia tragicomica che si esprime al massimo nella seconda parte, quando sia don Chisciotte sia Sancho si mettono a inventare: da cui la sublime chiusa del capitolo XLI con la sua proposta di alleanza: "E don Chisciotte avvicinatosi a Sancio gli disse nell'orecchio: - Sancio, se volete che vi si creda per ciò che avete visto in cielo, io voglio che voi crediate me per ciò che vidi nella grotta di Montesinos. E non dico altro" (3).
E in un mondo determinato dai rapporti di classe si rivela inefficace il volontarismo eroico di don Chisciotte sotto la forma della cavalleria errante. Don Chisciotte muore, pentito e rinsavito, cioè sconfitto, dopo la risoluzione dell'episodio del garzone sfruttato (che credeva di difendere, laddove invece ha solo peggiorato la sua condizione). Ma la dialettica fra reale e fantastico si esalta nell'inquadratura finale. Dopo che abbiamo assistito alla morte di don Chisciotte, uno stacco ci porta a un solenne campo lungo della pianura spagnola in un'inquadratura vuota - segue una panoramica a scoprire a destra - ed ecco don Chisciotte con la sua lunga lancia e Sancho sull'asino (il campo lungo serve non soltanto a riprodurre l'elemento iconografico principe ma a evitare un contraccolpo legato alla leggibilità del viso, che riporterebbe contraddittoriamente l'immagine sul piano narrativo): don Chisciotte e Sancho cavalcano ancora, trasformati in figure immortali.
Ma non lasceremo il film di Kozincev senza menzionare un dettaglio molto interessante, e coraggioso, del suo discorso politico. Ci riferiamo alla classica scena di don Chisciotte che libera i forzati, i quali per tutto ringraziamento lo lapidano. In questa sequenza lo chiamano spia, e Sancho protesta "Ma se vi ha liberati!", e loro: "Questo è successo prima - poi si è venduto". Non è chi non veda che il comico paradosso della battuta si riferisce satiricamente alle purghe staliniane (quando gli artefici stessi della rivoluzione erano stati costretti a confessare di essere traditori e spie). Così il film di Kozincev (1957!) si inserisce nella battaglia politico-culturale sovietica popolarizzando - "in linguaggio esopico", come si diceva in URSS - il discorso della destalinizzazione.
Il Duca e la Duchessa qui sono dei corrotti che vogliono un governatore-fantoccio per aumentare le tasse; Sancho, contadino dal cervello fino, come governatore prima mostra il suo buon senso (il film recupera l'episodio cervantino del bastone cavo coi soldi dentro) e poi fa arrestare tutta la combriccola. Infine in una conclusione aperta raggiunge don Chisciotte che si batte contro il vento; il film si chiude sulla loro carica.
Esiste però un altro aspetto fondamentale del testo di Cervantes, che di solito le versioni cinematografiche omettono di restituire. Si tratta dell'aspetto metanarrativo, che è già presente nella prima parte del romanzo, ma fondamentale nella seconda: quando don Chisciotte gira per una Spagna dove molti hanno letto le sue avventure (nella prima parte di Cervantes e nella continuazione apocrifa di Avellaneda), per cui lui e Sancho sono già conosciuti, ed entrano in un vertiginoso corto circuito con la propria stessa leggenda.
Welles inserisce più volte riprese di se stesso che filma per le strade con una piccola macchina a mano. Ma c'è di più. A un certo punto Sancho si decide - e ne scrive alla moglie - a comparire in un film che si sta girando, per raggranellare qualche soldo durante la separazione da don Chisciotte. E che film è? Ma è quello di Welles! "C'è un uomo che vuol fare un film sul mio padrone e su di me - scvrive Sancho - [...] Come dire, diventeremo famosi". Il Don Quixote e il rodage del Don Quixote si confondono e s'identificano: il film diventa la messa in scena della propria realizzazione. Anche sotto questo aspetto Don Quixote anticipa i grandi film-saggio dell'ultimo periodo di Welles, F for Fake e Filming Othello.
Contestuale a tutto ciò è l'identificazione tra don Chisciotte e Welles stesso, implicita come suggestione ma anche vivacemente esplicitata nel dialogo. Per esempio Sancho, mentre vaga alla ricerca del suo padrone, orecchiando i discorsi della troupe del film sente descrivere la personalità di Welles ed esclama: "Està hablando de don Quijote!".
L'aspetto metaletterario è tenuto presente nei due Quijote spagnoli di Manuel Gutiérrez Aragón: la miniserie televisiva El Quijote de Miguel de Cervantes (1991), con Fernando Rey (4) e Alfredo Landa, e il lungometraggio del 2002 El caballero Don Quijote - che mi scuso di non conoscere. Tutto il cinema di Gutiérrez Aragón ( Demonios en el jardin, La mitad del cielo, Feroz) si basa su un raffinato gioco fra realismo e riflessi fantastici, una continua dialettica fra realtà e finzione. Nella miniserie tv - scritta da Camilo José Cela - il regista, per esempio, interrompe la visione di un duello per introdurre Cervantes stesso (José Luis Pellicena) col manoscritto che descrive lo stesso duello: il cineasta "si impegna a mettere in scena quei suggestivi andirivieni fra la finzione e meta-finzione, tra la storia raccontata e l'autore del romanzo, Cervantes, in maniera che tali giochi intertestuali passano dalla letteratura al cinema - in questo caso - con puntuale e squisita fedeltà alla narrazione originale del libro" (5). Il film mette in scena la seconda parte del romanzo con un don Chisciotte (Juan Luis Gallardo) differente dal solito, un "cavaliere autunnale, stanco e scettico", preceduto dalla propria fama, che "insegue meravigliato la propria leggenda" (6).
Il film di Gutiérrez Aragón è inedito in Italia. Dove ha avuto invece un certo successo il già citato Lost in La Mancha, un documentario dedicato nel 2002 da Keith Fulton e Louis Pepe alla sfortunata lavorazione del costosissimo e mai terminato The Man Who Killed Don Quixote di Terry Gilliam. Lost in La Mancha si riferisce direttamente a Welles, nel tentativo di suggerire una sorta d'identificazione Welles-Gilliam, (oltre che, naturalmente, don Chisciotte-Gilliam) sotto il segno del sognatore geniale sconfitto dalla forza della realtà. Il suo film è un tentativo di fare "Hollywood without Hollywood". Ma, ben distante da Welles, Gilliam sembra cadere - quando le cose cominciano ad andare disastrosamente male - in una sorta di languore organizzativo: sembra che l'intera produzione si avvolga in un cupio dissolvi fatto di incertezza e incapacità di riorganizzare la produzione.
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La prima parte del Don Quijote esce nel 1605, mentre nel 1615 Cervantes (che morirà l'anno dopo) pubblica la seconda parte; nel frattempo era uscita una continuazione apocrifa del non identificato Fernandez de Avellaneda, contro cui l'autore si scaglia vivacemente.
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Fra le manifestazioni cervantine dell'anno, da menzionare l'omaggio che gli ha rivolto Pordenonelegge 2005.
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Il grande attore spagnolo era comparso anche nel Don Quijote de la Mancha del 1947 di Gil, nel ruolo del baccelliere Carrasco.
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Carlos F. Heredero, La simiente cervantina, in Manuel Gutiérrez Aragón. Las fábulas del cronista, a cura di C.F. Heredero, SGAE-Ocho y medio, Madrid, 2004.