Nel corso della storia sono stati tantissimi gli intellettuali, filosofi, pensatori e scrittori che si sono occupati del rapporto uomo-animale in senso anti-antropocentrico.
Questi si sono posti nettamente in contro tendenza con la cultura dominante che in ogni epoca e in quasi tutte le civiltà e società ha visto gli animali come mere entità da assoggettare alla volontà umana per i più svariati scopi.
È con i filosofi dell'antichità greca che abbiamo le prime riflessioni sui diritti animali e la violenza contro di essi; sui motivi biologici ed etici per cui l'uomo non debba cibarsi di loro e quindi sul vegetarianesimo. Filosofi come Pitagora, Eraclito, Empedocle, i quali, possono essere considerati dei precursori del movimento antispecista che si è consolidato nel tempo e ha trovato forte dignità filosofica e un ampio seguito pratico nella seconda metà del 900 con il filosofo Peter Singer e il suo saggio 'Liberazione Animale', divenuto un testo imprescindibile per il movimento antispecista di tutto il mondo.
L'antispecismo è il movimento filosofico, culturale e politico antitetico allo specismo. Quest'ultimo, basandosi su una concezione antropocentrica, è un pensiero che sostiene l'indiscussa superiorità della specie umana su tutte le altre specie non-umane. Il termine venne coniato dallo psicologo inglese Richard Ryder nel 1970 e in seguito venne delineato da Peter Singer che lo definì "Un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie"[1]. Gli oppositori dello specismo pongono il loro nemico sulla stessa linea del razzismo, del sessismo e di tutte le forme di discriminazione. Sempre Singer ebbe a scrivere: "Il razzista viola il principio di eguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua razza qualora si verifichi un conflitto tra gli interessi di questi ultimi e quelli dei membri di un'altra razza. Il sessista viola il principio di eguaglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente, lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in ciascun caso"[1].
Pitagora è considerato 'il primo vegetariano della storia'. Questa considerazione deriva da alcuni versi di Ovidio (anch'esso vegetariano) delle Metamorfosi[2], dove il filosofo reputa inutili le uccisioni degli animali vista l'enormità di cibi offerti dalla natura senza dover macchiare la terra di sangue: "La terra generosa vi fornisce ogni ben di dio e vi offre banchetti senza bisogno di uccisioni e di sangue. Ah, che delitto enorme è cacciare visceri nei visceri, ingrassare il corpo ingordo stipandovi dentro un altro corpo,vivere della morte di un altro essere vivente! In mezzo a tutta l'abbondanza di prodotti della Terra, la migliore di tutte le madri, davvero non ti piace altro che masticare con dente crudele povere carni piagate, facendo il verso col muso ai Ciclopi? E solo distruggendo un altro potrai placare lo sfinimento di un ventre vorace e vizioso?"[3].
Inoltre il vegetarismo pitagorico è riconducibile alla teoria della metempsicosi, sempre stando ad alcuni versi riportati da Ovidio. Difatti secondo il filosofo di Samo la trasmigrazione delle anime dopo la morte poteva avvenire oltre che in altri uomini anche nei corpi animali[4], quindi possiamo dedurre che secondo lui uccidendo un animale ci fosse il rischio di uccidere un proprio caro. Indiscutibilmente Pitagora fu l'ispiratore principale degli scritti successivi sul tema dell'etica animale e del vegetarismo di altrettanti illustri pensatori, da Plutarco a Leonardo e altri.
Altro filosofo vegetariano fu Eraclito[5]. Costui si ritirò a vivere sui monti in cui passava le giornate meditando, passeggiando e scrivendo. Nella sua permanenza montana pare che fosse proprio l'alimentazione vegetariana, più propriamente erbivora, si direbbe, che gli causò l'idropisia[6] e lo costrinse a far rientro in città alla ricerca di qualche medico capace di guarirlo, ma nessuno ne fu capace e "si rinchiuse in una stalla di pecore, sperando che il calore dei loro corpi lanosi riuscisse a prosciugare quello suo" 6.
Empedocle si iscrisse alla scuola pitagorica e anch'esso seguì fedelmente i principi filosofico-alimentari tramandati dal maestro. Leggenda vuole che dopo aver vinto la corsa dei carri alle olimpiadi invece di sacrificare un bue come voleva la tradizione ne fece produrre uno di mirra, incenso e altri aromi. 2 In Empedocle c'è, però, un atteggiamento diverso, più empatico e terreno confronto a quello di Pitagora. Quest'ultimo si opponeva all'uccisione animale principalmente per la sua dottrina della metempsicosi mentre in Empedocle vi era la convinzione, al di fuori dell'anima, che la solidarietà tra tutti i viventi fosse il passo decisivo verso la vera armonia. "Non mettete fine alla macellazione maledetta? Non vedete che con cieca ignoranza dell'anima distruggete voi stessi?"[7]
Viene considerato vegetariano anche Platone. Il filosofo ne Le Leggi ricorda l'esistenza, tempo addietro, di popoli dove si viveva in piena sintonia e felicità non mangiando animali e tantomeno sacrificandone alle divinità: "presso altri popoli non vi era neppure il coraggio di gustare la carne di bue, e agli dèi non si sacrificavano animali, ma focacce, e frutti inzuppati nel miele, e simili altre incontaminate offerte, e non si toccava carne, quasi fosse empio mangiarne, e così macchiare di sangue gli altari degli dèi"[8]. Ancora più significativo è ciò che scrive ne La Repubblica dove Socrate discute con Glaucone sullo stato ideale. Inevitabilmente si giunge a parlare di cibo e dell'alimentazione ideale per il futuro stato perfetto. Alla situazione poco stabile - caratterizzata da guerre e invasioni, come è quella in cui Platone scrive il suo testo - oppone una società armonica e serena, che deve seguire inevitabilmente una dieta vegetariana, creando quindi un collegamento tra disarmonia/violenza e 'alimentazone carnivora'.[9] Ciò riporta a Pitagora il quale sosteneva che fintantoché gli uomini uccideranno animali si uccideranno anche tra di loro, concetto, questo, che fu ripreso in tutto il corso della storia a sostegno delle tesi antispeciste, vedi Quinto Sestio, Lev Tolstoj, Gandhi.
Tornando a La Repubblica, dopo che Socrate spiegò che l'alimentazione sarebbe dovuta essere vegetariana, Glaucone da buon mangiatore di carne obbiettò e si sentì rispondere: "avremo bisogno di molti maiali e di guardiani, e poi saremmo costretti a ricorrere più spesso ai medici. E gli allevamenti richiederanno spazi nuovi, sottraendo terreno all'agricoltura. Così, la città sarà costretta ad invadere i paesi vicini ed a fare la guerra"[10]. Questo passo è estremamente importante e lungimirante. Non vi è più solo, infatti, una questione empatica, ma Platone (o Socrate?) introduce la questione salutare e soprattutto anticipa i vantaggi ecologici del vegetarianesimo, ancora oggi caposaldo delle 'giustificazioni vegetariane'.
Se Aristotele non fu molto solidale con la sofferenza animale non ne furono altrettanto il suo discepolo e successore Teofrasto e il suo pupillo Dicearco.
Per quasi ventitré secoli è rimasto sepolto il trattato Sulla Pietà di Teofrasto, tradotto in italiano per la prima volta solo nel 2005. Questo trattato è fortemente destabilizzante: il concetto di pietà e giustizia va ora a riferirsi a tutti gli essere viventi, in forte rottura con il Maestro. Aristotele infatti sosteneva che per gli animali non poteva esserci giustizia.[11]
"Tutte le specie sono intelligenti, ma esse differiscono per l'educazione e per la composizione del miscuglio dei primi elementi. Sotto tutti i rapporti, dunque, la razza degli altri animali ci è apparentata ed essa è la stessa della nostra; poiché i mezzi di sussistenza sono gli stessi per tutti[...]e tutti mostrano d'avere in comune per padre il cielo e per madre la Terra."[12], scrisse Teofrasto.
I filosofi finora trattati sono collocati cronologicamente prima della diffusione del cristianesimo, ma anche dopo l'avvento di Cristo, nel mondo greco e latino, abbiamo importanti pensatori che sostennero le tesi vegetariane. Tra questi, dopo Porfirio e il suo 'Sull'astinenza dalle carni degli animali', il più significativo è senza dubbio il greco Plutarco con il suo 'Del mangiare carne'.
Un trattato breve ma estremamente pungente che tocca tutte le questioni essenziali e colpisce l'ipocrisia degli uomini. Non elogia i vegetariani o attacca con veemenza i carnivori ma si stupisce piuttosto del primo mangiatore di carne e si chiede "con quale disposizione, animo o pensiero [...] abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale uccise"e ancora si chiede "come poté la vista sopportare l'uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi, come l'olfatto resse il fetore? Come una tale contaminazione non ripugnò al gusto, nel toccare le piaghe di altri esseri viventi e nel bere gli umori e il sangue di ferite letali?"[13]
Il testo del filosofo di Cheronea è definibile un classico, ciò che vi è scritto è di un'attualità di non poco conto. Qualsiasi vegetariano che oggi voglia rispondere alle critiche degli 'oppositori' può tornare su quel testo risalente a qualche decennio dopo la morte di Cristo e trovarvi aiuto e legittime difese. Quando a un vegetariano viene posta la classica questione del ciclo naturale e della naturalità del cibarsi di carne Plutarco avrebbe risposto: "Se però sei convinto di essere naturalmente predisposto a tale alimentazione, prova anzitutto a uccidere tu stesso l'animale che vuoi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona, con le tue mani, senza ricorrere a un coltello, a un bastone o a una scure. Fa' come i lupi, gli orsi e i leoni, che ammazzano da sé quanto mangiano: uccidi un bue a morsi o un porco con la bocca, oppure dilania un agnello o una lepre, e divorali dopo averli aggrediti mentre sono ancora vivi, come fanno le bestie. Ma se aspetti che il tuo cibo sia morto e se l'anima presente in quelle creature ti fa vergognare di goderne la carne, perché continui a mangiare contro natura gli esseri dotati di anima?" 13
Giunti alla fine una domanda sorge spontanea. Perché di questi filosofi e pensatori la didattica ufficiale tiene nascosto il loro lato 'animalista'? Perché non lo si può ergere al pari delle altre questioni da loro sollevate e inserire nei programmi scolastici? Forse che c'è il pericolo che tali conoscenze possano influire sulle scelte di vita dei più giovani che si avvicinano a questi filosofi? Se come diceva Gandhi "la grandezza di una nazione ed il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui essa tratta gli animali" perché non si inizia nelle scuole, dove si impara ad essere cittadini della nostra nazione, un percorso di riflessione su quello che deve essere il rapporto tra uomo e animali, cominciando, magari, dai filosofi citati in questo scritto ?
Marco Contu[1] Cfr. Peter Singer, Liberazione Animale, 1975
[2] Cfr. Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, 2008
[3] Cfr. Ovidio, Le metamorfosi, XV, 75-95
[4] Cfr. Nicola Abbagnano, Protagonisti e testi della filosofia - vol. 1A, pag. 24
[5] Cfr. Enrico Giannetto, Eraclito, un filosofo antispecista
[6] Cfr. Indro Montanelli, Storia dei Greci, pag. 48
[7] Cfr. Margherita Hack, Perché sono vegetariana?, pag. 128
[8] Cfr. Platone, Le Leggi, Cap. 6
[9] Cfr. Pierpaolo Pracca, A tavola nel paese che non c'è, pag. 14
[10] Cfr. Platone, La Repubblica
[11] Cfr. Aristotele, Etica
[12] Cfr. Teofrasto, Sulla pietà
[13] Cfr. Plutarco, Del mangiare carne