Lo ammetto: non ho pollici verdi. Sarà perché il mio ideale di verde è un giardino in cui le piante crescono in modo anarchico; o piuttosto per la mia incapacità di prendermi cura con una continuità accettabile di qualsiasi creatura vegetale (e ultimamente anche di questo blog). Fatto sta che a casa mia le piante sono destinate a morire. Persino le piante grasse fanno una brutta fine, perché se non è la penuria d’acqua è il gelo a terminare le loro stentate esistenze.Ciononostante sul mio balcone vive, anzi dovrei dire prospera, un cactus. A voler essere precisi, la pianta in questione ha un nome e certamente anche un cognome scientifico. Essi però mi sono ignoti (eventuali pareri esperti saranno assai graditi) e così colmo la mia ignoranza con una sola parola. Il mio cactus è in realtà un’intera famiglia di piantine spinose. Nonostante mi ricordi solo di tanto in tanto di dare loro acqua e mi decida a trasferirle in garage solo quando la temperatura esterna scende sotto i –10° C diurni per dimenticarli là sotto fino alla primavera (non senza aver deposto una palla di neve nel vaso, di solito); nonostante tutto questo, dicevo, essi non solo vivono, ma prosperano e si moltiplicano. Basta un bicchiere d’acqua ogni tanto per vedere quei bastoncelli rinsecchiti aumentare di volume in maniera evidente nel giro di poche ore, come stiracchiandosi dopo un lungo sonno. Ma il beneamato cactus non si limita ad ingrossarsi. Si allunga e trasforma una sua estremità in un’apparentemente innocente pallina che dopo qualche esitazione si stacca dalla pianta madre. Il piccolo colono, se cade su una superficie terrosa, inizia immediatamente a mettere radici e nel giro di poco tempo eccolo diventato una nuova piantina che va aggiungersi alle altre.Devo confessare che l’indole di questa piccola tenace creatura mi ha conquistato. Per quanto questo non abbia comportato alcun miglioramento nella mia capacità di giardinaggio, in qualche modo mi prendo cura del mio cactus. Principalmente facendogli molti complimenti per la sua capacità di resistere alla mia inettitudine.E lui mi risponde senza parlare fornendomi argomenti su cui riflettere. Non posso non pensare, infatti, che sia di quelle creature dall’aspetto apparentemente insignificante di fronte all’elegante bellezza di certe delicatissime piante. Eppure lui vive mentre esse giacciono da tempo rinsecchite dopo un’effimera stagione di splendore. Esso mi ricorda che, per quanto la vita sia difficile, per quanto le delusioni, gli abbandoni, i tradimenti, le cadute siano molto più frequenti degli attimi di felicità, questi sono come gocce d’acqua preziosa che vanno assorbite e conservate con cura dentro di noi nei tempi difficili. E quando il momento è propizio bisogna sapersi aprire e fiorire, come fa lui regalando a me (e soprattutto a se stesso), dei magnifici fiori colorati.
Lo ammetto: non ho pollici verdi. Sarà perché il mio ideale di verde è un giardino in cui le piante crescono in modo anarchico; o piuttosto per la mia incapacità di prendermi cura con una continuità accettabile di qualsiasi creatura vegetale (e ultimamente anche di questo blog). Fatto sta che a casa mia le piante sono destinate a morire. Persino le piante grasse fanno una brutta fine, perché se non è la penuria d’acqua è il gelo a terminare le loro stentate esistenze.Ciononostante sul mio balcone vive, anzi dovrei dire prospera, un cactus. A voler essere precisi, la pianta in questione ha un nome e certamente anche un cognome scientifico. Essi però mi sono ignoti (eventuali pareri esperti saranno assai graditi) e così colmo la mia ignoranza con una sola parola. Il mio cactus è in realtà un’intera famiglia di piantine spinose. Nonostante mi ricordi solo di tanto in tanto di dare loro acqua e mi decida a trasferirle in garage solo quando la temperatura esterna scende sotto i –10° C diurni per dimenticarli là sotto fino alla primavera (non senza aver deposto una palla di neve nel vaso, di solito); nonostante tutto questo, dicevo, essi non solo vivono, ma prosperano e si moltiplicano. Basta un bicchiere d’acqua ogni tanto per vedere quei bastoncelli rinsecchiti aumentare di volume in maniera evidente nel giro di poche ore, come stiracchiandosi dopo un lungo sonno. Ma il beneamato cactus non si limita ad ingrossarsi. Si allunga e trasforma una sua estremità in un’apparentemente innocente pallina che dopo qualche esitazione si stacca dalla pianta madre. Il piccolo colono, se cade su una superficie terrosa, inizia immediatamente a mettere radici e nel giro di poco tempo eccolo diventato una nuova piantina che va aggiungersi alle altre.Devo confessare che l’indole di questa piccola tenace creatura mi ha conquistato. Per quanto questo non abbia comportato alcun miglioramento nella mia capacità di giardinaggio, in qualche modo mi prendo cura del mio cactus. Principalmente facendogli molti complimenti per la sua capacità di resistere alla mia inettitudine.E lui mi risponde senza parlare fornendomi argomenti su cui riflettere. Non posso non pensare, infatti, che sia di quelle creature dall’aspetto apparentemente insignificante di fronte all’elegante bellezza di certe delicatissime piante. Eppure lui vive mentre esse giacciono da tempo rinsecchite dopo un’effimera stagione di splendore. Esso mi ricorda che, per quanto la vita sia difficile, per quanto le delusioni, gli abbandoni, i tradimenti, le cadute siano molto più frequenti degli attimi di felicità, questi sono come gocce d’acqua preziosa che vanno assorbite e conservate con cura dentro di noi nei tempi difficili. E quando il momento è propizio bisogna sapersi aprire e fiorire, come fa lui regalando a me (e soprattutto a se stesso), dei magnifici fiori colorati.
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