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Filosofia del viaggio

Creato il 06 novembre 2010 da Jolandaguardi

Filosofia del viaggio

M. Onfray, Filosofia del viaggio. Poetica della geografia, ponte alle Grazie, Roma 2010

Ancora una volta Michel Onfray riesce a demolire con ammirevole onestà intellettuale e profondo senso di un’umanità liberale e liberata, ogni sterile forma di immaturo e dipendente sentimentalismo di coppia, ogni bieco approccio turistico alla differenza, ogni fasulla forma di tolleranza, deridendo abilmente e sardonicamente, al tempo stesso, le tante chincaglierie intellettuali che continuano ad adornare spazi vuoti, che ancora necessiterebbero di individui completi, autonomi, capaci, che li abitino.

Individui che sappiano guidare e ampliare la conoscenza con senso dell’utilità materiale, con avvolgente emotività e generosa apertura. Questi individui non possono che essere impersonati dal viaggiatore, detto emblematicamente “monade autosufficiente”: solo il viaggiatore può permettersi di tessere e ritessere il suo rapporto personale col tempo, “un tempo individuale fatto di durate soggettive e istanti gioiosi voluti e desiderati”.

Il libro si presenta inoltre come una vera e propria ode all’amicizia, “questo amore senza il corpo”, che nella dimensione spazio-temporale di un viaggio sa liberare tutta la sua forza autentica rispetto all’amore carnalmente inteso, più debole, più noiosamente esposto al parassitaggio e alle gelosie del compagno.

Solo gli amici, brillantemente chiamati “androgini gioiosi”, potrebbero concedersi vicendevolmente il seguire “l’ordine irrazionale ed istintivo, talvolta breve e folgorante, della pura soggettività immersa nella casualità desiderata”, e abbracciare in toto la brutalità primitiva di un luogo, come fosse “un’offerta mistica e pagana”.

Solo il viaggiatore, questo anatomista che fa esperienza e che non compara, e che si lascia penetrare dal liquido locale con passivita’ generosa, è il guerriero più audace contro la quadrettatura e il cronometraggio dell’esistenza.

Con quest’inno al viaggiare esistenzialmente e materialmente inteso, scevro da moralismi e cerebralismi inzuppati nel tedio e nella triste categorizzazione dell’esistenza, Onfray sembra laicizzare il divertissement pascaliano e liberarlo dai longevi artigli di una logica ancora legata al possesso e all’avida deliberata ricerca di uno stato esistenziale.

Il viaggio per Onfray non è entità, non è stato, non è neppure il fluire o il mutare di essi. È un qualcosa che non si chiama e che esiste con noi e con il nostro approccio alla nostra personale esistenza. Nostro, per chi lo sceglie.

Chissà se Onfray riuscirà a superarsi con il suo prossimo testo, come continua a fare. Ho la certezza che lo farà… e”che l’ultimo viaggio non sarà affatto l’ultimo”.

 



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