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Filosofia dell’anima – D’amicizia, d’amore, di affinità elettive e del destino solitario dell’Essere.

Creato il 17 marzo 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Goethe_(Stieler_1828)di Rina Brundu. Galeotta sarà quest’ennesima noiosissima festa di San Patrizio e la giornata di vacanza che porta seco, ma galeotto è anche l’emblematico et personalissimo segno dei tempi: nel mio caso l’usage degli occhiali causa presbiopia, un difetto visivo che si manifesterebbe dopo il compimento dei 45 anni d’età e che appunto ti costringe a cercare “aiuto” per leggere e guardare da… vicino. Certo è che la trista faccenda ti porta a tirare delle conclusioni, anche retoriche; ti forza a ciarlare di faccende “casalinghiche” che nel pieno delle tue facoltà mentali non degneresti mai, per esempio ti forza a parlare d’amicizia, d’amore e di ridicole questioni attinenti.

Ecchessaramai! Per una volta si può fare un’eccezione: d’altro canto se oggi la birra scorrerà a catinelle in tutta Dublino e nei suoi milioni di pub vestiti a festa, non si capisce perché non sia concesso a me, sobria (meglio non dirlo però!), di sparare qualche cazzata online. Meglio ancora, non si capisce perché io non mi possa concedere tale licenza. Il fatto è che io ho un pessimo concetto di ciò che i comuni mortali considerano i sentimenti da preservare e coltivare: l’amicizia, l’amore. Li considero emblema di tutto il posticcio e di tutto l’artefatto che l’animo umano riesce a costruirsi intorno per giustificare le sua intrinseca mancanza di sostanza, la sua incapacità di imparare e di crescere virtuosamente (non in senso morale, ma in in senso filosofico-tecnico). La sua incapacità di migliorarsi.

Tra i due il più deleterio è senz’altro l’amicizia che non è propriamente un “sentimento”, quanto piuttosto uno “status-quo”, almeno idealmente. Praticamente è peggio, molto peggio. Non ho difficoltà a dire che io non ho amici, non ne ho mai avuti e non ne voglio. Al più ho delle conoscenze e quando dico conoscenze le intendo sempre marcate in positivo, nel senso che si tratta di persone per cui ho il massimo rispetto: di tutte le altre infatti io non ho “coscienza” e come Pietro le rinnegherei non tre ma cento volte. Dato che non posso parlare per esperienza diretta, mi limito a listare qui di seguito i funesti effetti “dell’amicizia” che mi è accaduto di osservare: ho visto mariti e mogli preferire gli “amici” anziché preferirsi a vicenda, ho visto “amici” e “amiche” sparlare l’uno dell’altro/a come non farebbe il peggior nemico, ho visto “amici” tradirsi nel più vile dei modi. E qui non mi si venga a dire che la “vera amicizia è altra cosa”: abborro gli statements insulsi come questi! Non è vero, non è machiavellicamente vero: tutte le amicizie sono “interessate”, anche quando di questo non ce ne rendiamo conto. Per tagliare la testa al toro basti dire che lo stesso vincolo simbiotico che lega madre e figlio non è un vincolo dell’anima (può senz’altro esserlo in alcuni casi, ne parlerò poi, ma non lo è nella maggior parte dei casi), ma è un mero vincolo darwiniano, istintivo, che risponde solamente alle esigenze di sopravvivenza della specie. Per ovvie ragioni tutte gli altri “vincoli”, liaisons “fisiche” tra esseri, vanno archiviate in sotto-categorie e non fanno testo.

Occhiali sul naso e guardando indietro alle cose della mia vita, sono anche felice di riportare di non avere mai avuto amori: ho avuto qualche “liking” a volte determinato dal fascino che sempre esercita un bel sembiante o meglio ancora da una bella-mente, ma MAI amori. Questo sentimento fortemente sopravvalutato è meno pernicioso (anche se nefasto lo è senz’altro, pensiamo per esempio a quante donne si sposano giovanissime rinunciando a vivere!), dell’amicizia ma senz’altro più egoistico. Di norma si ama per essere amati, dunque per cercare negli altri ciò che non siamo in grado di procurarci noi, per riempire un vuoto di qualsiasi tipo, anche solo per il gusto di dirci innamorati data la grande capacità della dopamina di farci sentire bene. Eh già perché forse non tutti i miei quattro lettori sanno che l’innamoramento non è altro che un modesto processo chimico con effetti deleteri anche peggiori di quelli che porta seco la mia presbiopia. E anche qui che non mi si commenti in calce che sto sbagliando, che la Storia, la grande Storia, quella con la S maiuscola, è piena di storie d’amore che hanno cambiato il mondo: cazzate! La Storia è anche piena di scoregge che hanno cambiato il mondo e soprattutto di ingiustizie, di atti ignobili, di tanto dolore… altro che storie rosa stile Liala, oggidì gossip succoso da mettere in prima sulle HOME degli ex-giornali di prestigio nostrani!

Tutto qui, dunque? Relego le nostre interrelazioni a un patetico gioco per deficienti bisognosi di aiutarsi l’un l’altro? La tentazione di rispondere sì è forte, ma non sarebbe la risposta giusta. Di fatto, più che nell’amicizia e nell’amore io credo fortemente in quelle che, da Goethe in poi (non a caso, costui, si considerava il “favorito dagli dei”), vengono chiamate le “affinità elettive” e soprattutto credo nel destino solitario dell’Essere. Detto altrimenti credo fermamente che ci siano Esseri-simili che durante i numerosi viaggi dell’anima tra le incarnate contrade di questa terra, si incontrano e si propongono di “costruire”, di “fare”, qualcosa insieme. Quando vediamo due amici davvero tali, due innamorati davvero tali, una famiglia che si ama, due estranei che si apprezzano vediamo insomma gli effetti di un qualcosa che è gestito ad altro livello e di cui non ci è dato di sapere mentre viviamo. Ne deriva che tra gli esseri che sono nostri spiriti affini ci possono essere anche persone che epidermicamente riteniamo nostri nemici, esseri reietti e invisi: chissà, mi chiedo, se non siano proprio costoro, e proprio perché coscienti delle nostre vere esigenze, a fornirci i migliori insegnamenti per la nostra crescita personale e interiore? Non è un dubbio peregrino.

Ad un tempo io ho certezza che noi siamo soprattutto esseri “soli”, dal destino “solitario”: noi nasciamo soli, moriamo soli e da soli ci confrontiamo con ogni più vero momento della nostra esistenza. Di fatto, io non riesco a pensare ad un modus-di-essere migliore, perché solo riuscendo ad aiutare noi stessi, a prenderci le nostre responsabilità sulle spalle, saremmo senz’altro in grado di adoperarci per gli altri, per chiunque. Non si dovrebbe infatti usare la scusante dell’amiciza e/o dell’amore per mettere in primo piano le necessità di alcuni, ma si dovrebbe essere sempre disposti a fare del nostro meglio per tutti gli altri Esseri, belli o brutti che siano, ricchi o poveri, amati o profondamente odiati.

Featured image, Johann Wolfgang von Goethe, il favorito dagli dei, ritratto da J. K. Stieler nel 1828.

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