di Rina Brundu. Non ho mai trascorso la notte in ospedale né per me né al capezzale di qualcuno. È la prima volta. Lo considero un privilegio: non il trascorrere la notte all’ospedale ma stare al capezzale di qualcuno, soprattutto se quel qualcuno è molto importante, è parte della tua anima.
Bisogna scriverne? Non lo so. Qualcosa bisogna pur fare quando i minuti passano lenti. Bisogna intrattenersi in qualche modo. Anche per evitare di pensare. I dolori delle persone anziane sono tra quelli che addolorano di più, fanno più male. Specie se vissuti in contesti che non ti sono familiari, che possono essere quelli dei tuoi luoghi natali ma che sono distanti da te anni luce. Da tutto ciò che sei ora. E non conosci più nessuno.
C’é silenzio di notte nelle corsie d’ospedale, a volte, a volte no. Ci sono quattro donne anziane ricoverate in questa stanza. Ognuna con i suoi dolori, tutti per lo più procurati da cadute in casa o in cortile, almeno i dolori immediatamente evidenti. Una di loro ha appena smesso di pregare e mi sono alzata per aiutarla a mettere via il rosario. Un oggetto di ferro come gli altri per me, l’ho capito oggi come non l’ho avevo mai capito prima. E oggi ho anche capito che se io ho sempre pregato poco, adesso non prego più e non pregherò mai più. Non è questa considerazione una riaffermazione o lo sbandieramenteo di un principio laicista né uno sfogo dato dal momento, é piuttosto qualcosa che si sente dentro. Un sentimento a suo modo liberatorio, aiuta a guardare la realtà con occhi lucidi….. che non vuol dire con occhi freddi.
“Siate forti come i saggi dell’antica Grecia e guardate alla morte con occhio fermo e senza paura” scriveva Umberto Eco. Ho scoperto questa frase in occasione della sua morte e ancora oggi non riesco a pensare a due righe scritte da qualcun altro che siano state altrettanto importanti per me e per il mio universo. Volendo si potrebbero parafrasare e conserverebbero la stessa valenza: “Siate forti come i saggi dell’antica Grecia e guardate alla vita con occhio fermo e senza paura”.
Che si tratti di vita o di morte occore mantenere “occhio fermo”, essere “forti” e non avere “paura”, detto altrimenti si tratta di affinare la forza dell’intelletto e riconsegnargli la sua dignità. È la capacità dei grandi, degli spiriti che si ammirano, di coloro che sanno guardare ai viaggi dell’anima, alle vite che si rincorrono, con il necessario distacco. Che riescono a trarne le lezioni impartite e a muovere oltre. Che riescono ad arricchire l’essenza più vera senza svilirla, senza doverla raccomandare a chicchessia affinché si “salvi”.
E sempre così ragionando che si comprende che tu non sei e non dovresti essere al capezzale di qualcuno, se i capezzali sono quattro occorre stare accanto a ciascuno di quelli. E non è necessario neppure chiedersi perché, forse coloro che li riempiono sono tutti parte della nostra anima.