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Per circa vent'anni ho quindi provato, quando capitavo su quella strada, a mirare in lontananza, verso il meraviglioso mare della costa orientale, ma niente. Il massimo che riuscivo a scorgere, guardando però dalla parte opposta, erano i monti di Villacidro, con le punte del Linas che nel periodo invernale hanno sempre fatto invidia ad un amante della neve come me che purtroppo ne ha sempre visto troppo poca. Così questa storia del Gennargentu visibile da Cagliari finì tra le varie leggende popolari, un po' come i quartesi che mangiano cani, i tossici sulla Sella del Diavolo e la gente morta perché cerca di entrare di straforo all'Anfiteatro Romano durante i concerti.
Quest'inverno, quando tutta l'Isola, esclusa casa mia, era ricoperta da una soffice coltre bianca, decisi di approfittare di una tranquilla giornata soleggiata e fare una piacevole pedalata per le campagne attorno al mio paese. Infilati gli auricolari iniziai a pedalare, noncurante della fredda aria che arrivava sulle mie spoglie gambe e sulle guance, che perdevano lentamente la sensibilità.
Tra salite e discese, sudore e fatica, riempivo i miei polmoni con aria limpida e pulita, finché non mi fermai di botto in una piazzola; la mia attenzione fu spostata improvvisamente dall'asfalto e dalle pedalate verso l'orizzonte, oltre Cagliari, oltre i Sette Fratelli, oltre le campagne del Campidano e le colline del Sarrabus - Gerrei, per andare a infrangersi a quasi 120 km di distanza in linea d'aria. Per la prima volta, da quando ascoltai e rimasi affascinato da quella storia raccontata da mio zio, riuscii a vedere l'immenso massiccio innevato che si alzava imponente e dominava le campagne circostanti. Per un momento provai a riflettere, a chiedermi se quelle fossero realmente le cime del Gennargentu: ripassai a memoria la cartina della Sardegna e non poteva essere altrimenti; i Sette Fratelli, troppo bassi per essere così candidamente innevati, stanno molto più a oriente; le vette ogliastrine, allo stesso modo, non sono così alte da far sì che si possano dipingere in questo modo.
E allora fermai la mia liberatoria pedalata, per rimanere fermo ad ammirare quel meraviglioso paesaggio, pensare alla fortuna avuta, e, se devo essere sincero, rammaricarmi di non aver a portata di mano il cellulare o una macchina fotografica per poter immortalare il momento. A mente lucida, quando decisi di effettuare una modifica al mio abituale percorso in modo da poter continuare ad ammirare quell'immenso spettacolo, arrivai alla conclusione che il non aver nulla con il quale fotografare sia stato meglio, perché certe sensazioni, certe immagini, certi colori, non posso avere vita se non nella nostra mente; e così, dopo essermi fermato altre tre o quattro volte, prima di perdere totalmente il campo visivo, riuscii a tornare a casa.
Ancora oggi, non sazio, continuo a buttare l'occhio verso NE, sperando prima o poi in qualche incredibile apparizione, se è successo una volta non vedo perché non possa succedere anche una seconda.
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