Magazine Attualità

Finagliosu e Annu Noeddu Miu – Cabudanni cun Gavino Puggioni e Franco Pilloni

Creato il 01 gennaio 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

400px-Cuccurru_s'arriu1Nota introduttiva: No, per quanto la prospettiva possa rendere felice il professor Puddu (beru Mariu?) non vi è in atto alcun tentativo di “regionalizzare” Rosebud, giammai! Una-tantum si può però decidere di dedicare questo particolare “cabudanni” alla bellissima isola di Sardegna e alle voci dei suoi tanti figli che vivono anche su questo sito. Così, oltre ad avere messo in-prima S’innu de sa Natzione – scritto dal sumenzionato Mario e musicato da Mariano Garau che gentilmente ieri ha inviato il link YouTube, ho pure pensato di mettere insieme due lavori – uno in prosa e uno in poesia – inviati di recente da Gavino e da Franco. Bonu annu nou a tottuse e poi crasi torraus a cumenciae…. Su prospettiva globale, Mario! Su prospettiva globale!:) RB.

______________

Finagliosu di Gavino Puggioni

Da bambino abitavo nella mia Finagliosu, uno stazzo situato nell’entroterra fra Stintino e l’Argentiera, non distante da Porto-Torres, l’antica Turris Libissonis di epoca romana.

Quel posto era ed è stato il paradiso della mia infanzia, perduta, ahimè! e ritrovata ,assai dopo, in quella memoria, mia e nostra, che ha milioni di mega-byts (sic?) che sono ancora, scientificamente, da scoprire.

Di quel paradiso ho ricordi nitidi anche di persone che cercavano di arrivarvi, non tutte buone…molti cattivi, molti maligni, pure raccomandati, per fare i custodi di greggi o per costruire un pozzo o, alla fine, per una semplice battuta di caccia e non solo al cinghiale.

Ma io, da bambino, di queste cose non sapevo niente, credevo di vivere la terra, dentro la terra, quella vera, fatta anche di fango, quello naturale, quello che, a volte,mi sporcava irrimediabilmente

le scarpine pulite che si calzavano una volta alla settimana per andare alla Messa domenicale, nella chiesa di San Costantino, a La Pedraia, distante un paio di chilometri, percorsi sempre a piedi, col sole o la pioggia, ai margini di un campo di grano o avena subito dopo riparato da un  tranquillo boschetto di ulivi, oleandri, piante di mirto e querce secolari.

E il cielo sopra, grigio, azzurro o come Lui voleva, mi diceva nonna Feffa che di tempo e di nuvole se ne intendeva, altro che Bernacca!,

A qualche chilometro di distanza c’era la miniera di Canaglia, solo ferro e, dopo ancora, adagiato verso il mare, l’antichissimo borgo dell’Argentiera, miniera di blenda e argento, adesso residuato archeo-industriale, in cerca di altra luce che spero venga a risplendere assai presto.

Ricordi? Certo e anche ricordi bambini perché tali si era in quella natura ancora incontaminata dove nonna Feffa, gli anziani e babbo, seppur giovane, erano i fari sempre accesi per una vita, la mia, la nostra, per tante vite che si stavano aprendo alla terra, quella terra dalla quale, pochi anni più avanti, avremmo dovuto “fuggire” per colpa del…Fato avverso, oggi come allora, ma sempre latente.

Ho vissuto in quello stazzo gli ultimi anni di quel “fascio” di vita, non ho e non abbiamo patito la fame, la sete, né la miseria di quella guerra e nemmeno persecuzioni. Semmai, tutto il contrario, in quell’oasi, e non era la sola, poiché la campagna era fertile, donava i suoi frutti, era coltivata  nel rispetto delle stagioni,  popolata da tanti contadini che l’amavano e la rispettavano e babbo era uno di quelli, orgoglioso del proprio lavoro e di donare ad altri, di paesi vicini, quel che a loro veniva piano piano a mancare.

Entrambe le miniere, quella di Canaglia e dell’Argentiera , lo venni a sapere dopo, erano obiettivi possibili per bombardamenti nemici, come d’altronde l’Asinara e il porto commerciale di Porto-Torres, e questo per togliere ricchezza che produceva, oltre a tutto, anche estrema miseria umana, regalata a quegli operai per…lavorare ed esserne anche degni! ..(lasciamo perdere, per carità!..)

E allora succedeva che,da quelle miniere, due o tre volte alla settimana, forse di più, non ricordo bene, ora, partiva “l’allarme”, sibili prolungati di sirene (mai odissee!) che creavano il massimo panico fra gli adulti perché tutti si aspettavano bombardamenti a raffica, esplosioni e distruzioni di quel poco che esisteva ma che era tantissimo per noi.

L’allarme durava una trentina di minuti durante i quali babbo, mamma, nonna e tutti gli altri si andava di corsa verso una collinetta vicina alla cui base c’era e c’è ancora una grande grotta di roccia granitica, chiamata  “la curona di ri faddhi” (la corona delle fate) e là, dentro, decine e decine di persone vi si rifugiavano, in attesa di quegli eventi tragici che grazie al cielo non sono mai avvenuti. Solo paura, terrore, spavento, anche se a noi, bambini, niente sembrava stesse accadendo se non l’incanto e la meraviglia di vedere tante persone, lì radunate, a guardarsi in faccia, chi a parlare, chi a pregare e si vedeva anche qualche rosario sgranellato da fragili dita di altre nonne assieme alla mia che l’aveva sempre in tasca del grembiule da cucina.

Qualche tartaruga si avvicinava alla grotta, girava tra di noi, non aveva paura, brucava steli verdi e teneri assieme agli amici passerotti mentre alcuni cani, Fido, Nerone, Mani Bianca, ci facevano da guardia ma non capivamo da chi.

Quando l’ultimo dei tre sibili di sirena cessava di farsi sentire, un boato di voci, un battimani all’unisono, quasi una liberazione, gli occhi puntati al cielo terso e…via!, tutti fuori da quella grotta, pacche sulle spalle, qualche abbraccio, perfino lacrime da occhi di coloro che in quella guerra avevano già perso un padre, un fratello, un amico.

E allora, noi bambini, di nuovo liberi, incontrollati in quella campagna,, giù nel sentiero che portava fino a casa, fino al patio grande dove svettava il mio olmo, un gigante della natura, vecchio di oltre cent’anni, testimone di altre vite ed ora della nostra, della mia, rimasta nella sua ombra per sempre.

______________

Wiki_corbos_0801
ANNU NOEDDU MIU

(a modu miu) di Franco Pilloni

Annu Noeddu miu,

has fattu prim’ ammostu

in su mari asiau

e t’indi ses assustrau

a biri su logu nostu:

seu in bena de donai

ma no tengiu coraggiu

sa manu de ammostai

poita seu ostaggiu

de su chi nat sa genti,

no m’hia  a bolli fai

de atiri differenti,

ma a su tempus presenti

mi bastat su necessariu

su chi serbit de ordinariu

po no morri e campai.

A mei chi portu in ogus

cantu sprecu in dinai

po cinciddas e fogus:

prus de cos’ ‘e pappai

forzis po un’annu e mesu

in regimi ordinariu

a pipiu de logu attesu,

a diversu calendariu

anca sa dì est longa

cand’esti chene pani,

sa vida che unu cani

s’hiat a bolli passai.

Po no mi presentai

de is aturus differenti

no lessisti nienti

chena de mi donai:

finzas su chi no serbit,

imboddiccau in paperi

de oru e de argentu,

donnia spezi’ ‘e unguentu

po sa peddi allisai

e lamparas asullas

po mi dd’accotobiai;

no scarescias ampullas

de binus e licoris ;

e de medas coloris

camisas e crobattas;

a domu no imbattas

chene bittiri froris

cun prenda de amoris

tebidus o buddius

de candu fuaus pipius

a pantalonis cruzzus ;

cadenittas de bruzzus

cun pindallius de oru

po donai decoru

a s’arrelogiu ‘e marca;

streppu chi portu in barca

elettricu portatili

chi m’indittit sa bia

po arribbai a Baratili

partendu de ‘omu mia

poita de sa cranaccia

no bollu perdi traccia.

No bollu perdi arrastu

de su chi fui nendu,

annu chi ses intrendu

po medas ses nefastu,

si mi ponis in menti

ti nau privadamenti:

Bai, torra a furriai!

A nosu lassasì stai

teneus de spapparottai

is ous in pacchitteddus

a Pasca Mann’ arricius

fattus a pilloneddus

chi funti giai impinnius.

Annu miu Noeddu,

innoi has allichidiu,

manteni su fueddu:

bai de cuddu pipiu

e si no t’est abarrau

mancu pani tostau

po culliunai sa brenti,

arzia is ogus a celu

fai finta de nienti,

chistiona a bellabellu

e contaddi una faba:

Ch’ andat in paradisu!

Però, Noeddu,  allaba

chi no ti scappit s’arrisu.

———–Traduzione di Franco Pilloni ———–

MIO ANNO NOVELLO

(a modo mio)

Mio Anno Novello,

sei nato bambinello

sull’Oceano Pacifico

ti sei poi spaventato

sopra il nostro villaggio:

sono in vena di dare

ma non trovo il coraggio

la mano per mostrare

perché mi sento ostaggio

del dire della gente,

e non vorrei apparire

dagli altri differente.

Ecco al tempo presente

mi basta il necessario

ciò che serve di ordinario

per vivere e non morire.

A me che ho negli occhi

quanto spreco han da fare

per scintille e per fuochi:

oltre che al mangiare

per più di un intero anno

in regime ordinario

a un bambino lontano,

con diverso calendario

dove il giorno è più lungo

vissuto senza pane,

e una vita da cane

gli piacerebbe avere.

Per non essere indicato

dagli altri differente

non lasciare niente

che non mi venga dato:

anche ciò che non serve,

ben involto con carta

d’oro sia o d’argento,

ogni sorta d’unguento

per pelli levigate

e lampade azzurrate

per renderle abbronzate;

non manchino bottiglie

di vini e di liquori;

assortisci i colori

a camicie con cravatte;

a casa non ti presenti

senza portare fiori

con i pegni d’amori

tiepidi o bollenti

di quando s’ era minori

con i calzoni corti;

catenelle da polso

con i pendagli d’oro

per rendere decoro

all’orologio di marca;

oggetti che porto in barca

elettrici portatili

che m’indichi la via

per arrivare a Baratili

partendo da casa mia

perché della vernaccia

non mi perda la traccia.

Non voglio perdere traccia

Di ciò che stavo a dire

Anno che stai per venire

Per molti sei nefasto,

e se mi dai ascolto

ti dico in confidenza:

scappa, torna indietro!

E lascia stare noi

Che abbiamo da aprire

Le uova in pacchettini

Per Pasqua ricevuti

Confezionati come uccellini

Che ormai han messo le penne.

Mio Anno Novello,

qui tutto è ultimato,

riprendi il tuo fardello:

vai da quel bambino

e se non ti è avanzato

manco pane indurito

per imbrogliare la panza,

gli occhi al cielo alza

e fa’ finta di nulla

parla a voce sommessa

e raccontagli una storia:

che andrà in Paradiso!

Però, Novello, attento

Che non ti sfugga il riso.

_________________________

Featured image Statuina muliebre esposta al Museo Arch. Naz. di Cagliari, autore Shardan, opera propria, fonte Wikipdedia.

Altra immagine, Angelo Morittu Nuraghe Corbos – Silanus, fonte Wikipedia.

Tagged as: Cultura, Giornalismo online, narrativa, opinioni online, poesia, Rosebud - Giornalismo online, Sardegna

Categorised in: 798, Sardegna, Tutti gli articoli


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :