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Finale di “Amici” – Dell’addomesticamento del talento e della sua omologazione. E ancora sulla scuola cantautorale italiana e sulla critica-acritica.

Creato il 06 giugno 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Oscar Wilde at Oxford

Oscar Wilde at Oxford

di Rina Brundu. Premetto che non ho nulla contro i “talent”: tutto ciò che porta in evidenza un talento, uno skill, una capacità intellettuale e/o artistica di qualunque tipo sia, per me va sostenuto. I talent artistici televisivi quanto ben fatti hanno lo stesso valore che ha la formazione seria in ambiente lavorativo: creano risorse migliori, eccellenze e producono risultati. Il va sans dire che se il risultato è una canzone come “Caruso” di Lucio Dalla, o una delle tante immortali composizioni dei nostri cantautori d’antan, i risultati non si discutono.

Purtroppo però io continuo a pensare – e con il tempo che passa ne sono sempre più convinta – che “Amici di Maria de Filippi” nonostante tutto (e nonostante il parterre de rois mediatico schierato questa sera a sua difesa), non abbia nulla a che vedere con la sucitata scuola cantautorale che è unica al mondo e che oltre ad avere prodotto la musica nostrana dell’ultimo mezzo secolo, ha dato finanche vita alla nostra miglior poesia e la nostra miglior letteratura di quello stesso lasso di tempo.

Ma perché “Amici” non “rende” quanto quell’altra tipologia di “talent” suo antesignano? E perché i suoi protagonisti, anche quando bravissimi – pensiamo ai tanti ragazzi veramente dotati che negli anni si sono alternati nello studio della De Filippi – alla lunga, e se non continuativamente presenti sugli schermi televisivi, vengono dimenticati così come le loro “creazioni”? A mio avviso per infinite ragioni. In primis il fatto che il loro “talento” viene per lo più presentato in un contesto “costruito” all’insegna del mal interpretato motto francese del diciannovesimo secolo “l’art pour l’art”, o per meglio dire l’arte per l’amor dell’arte per l’amor dell’ego mediatico e del suo incensamento. Manca quindi la dimensione del commitment sociale che sola permette l’estrinsecazione di un impegno artistico dello spirito veramente genuino. Ma soprattutto “Amici” sta diventando sempre più una gabbia dorata tesa all’addomesticamento della liberalità dell’anima e all’omologazione della stessa. Che è come dire tesa ad ucciderla.

Perché accade? Secondo me per due sostanziali motivi. Da un lato c’é un problema di background culturale asfittico che è purtroppo il nostro cortile di casa, laddove da quasi due decadi (forse di più), non riusciamo a produrre nulla di valido che non sia uno scoppiazzamento impazzito di modelli stranieri o una riproposizione stantia di canoni nostrani datati (cito per tutte la figuraccia internazionale rimediata negli ultimi due anni in quel dell’Eurovision Song Contest ma si potrebbe menzionare in questo contesto anche la recente debacle a Cannes, sebbene raccolta sul fronte cineamatografico).

Dall’altro lato, bisogna avere il coraggio di dire che per quanto valido, per quanto osannato, per quanto migliorato, per quanto imbottito di sermoni educativi e “sentiti” (ma a volte, come oggi, un po’ scontati), del bravissimo Saviano, “Amici” resta soprattutto un monumento mediatico (che è anche principato e corte dove si estrinseca un potere), alla sua pur brava conduttrice Maria de Filippi e dunque il risultato ottenuto dagli artisti impegnati in questo talent, finanche dalle “composizioni” e/o creazioni che colà nascono, è sempre direttamente proporzionale al raggio d’influenza di colei (in senso lato). Oltre non riescono andare. Neppure dopo, in un tempo successivo, ovvero quando il cordone ombelicale viene rotto. Questo avviene perché dopo servirebbe quella verve e quel commitment più sentito che abbiamo già detto non esiste sia per limiti personali che per limiti dettati dai tempi digitali che viviamo dove arte è tutto e niente e a ben pensarci va benissimo così.

Mi rendo conto che queste cogitazioni sono un po’ diverse da quelle zuccherose proposte anche stasera dalla critica-acritica, pardon, dal parterre de rois mediatico che ha convocato la De Filippi questa sera, e magari io mi sbaglio. Tutto può essere. Tutto… tranne l’arte che diventa espressione addomesticata e omologata: prima o poi infatti la si dimentica. La si oblia. O della morte sua.


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