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Finanza: casinò con bari

Creato il 06 febbraio 2013 da Albertocapece

caravaggio-i-bari-a-confronto-il-giovane-cara-L-C62aAVAnna Lombroso per il Simplicissimus

Meglio tardi che mai. Il dipartimento di Giustizia Usa ha fatto causa per oltre 5 miliardi di dollari alla societa’ di rating Standard & Poor’s, accusandola di aver valutato in modo errato i mutui alla base dei derivati finanziari che fecero esplodere la crisi del 2007. Lo rende noto MarketWatch secondo cui il procuratore generale di New York , Eric Holder ha avviato una causa civile contro l’agenzia e la sua controllata McGraw-Hill. Il Wall Street Journal fa sapere che sul banco degli imputati ci sarà il modello di valutazione utilizzato dall’agenzia e che i procuratori generali di alcuni stati federali si uniranno alla causa.
Per carità non possiamo che invidiare chi ha un presidente che invece di commuoversi in uno dei più infami osservatori della nostra barbarie, che invece di farsi fotografare mentre accarezza bambini condannati fin dall’asilo alla sua prediletta precarietà, se la piglia con questi misteriosi e invisibili guardoni, se è vero poi che stanno solo a guardare per poi dare un voto alle performance di imprese, organizzazioni, enti pubblici, stati.

Ma il risveglio e, ci auguriamo, la vendetta, è tardiva. Prima della crisi le agenzie di rating diedero una valutazione ottimistica dei titoli derivati dai prestiti subprime, contribuendo all’abnorme crescita del loro mercato intossicato e velenoso. Si mostrarono compiacenti nel caso della più romanzesca ipertruffa del secolo scorso, i cui effetti si peraltro si trascinano a dimostrazione che non è stato poi così breve. E’ quella che vede protagonista la Enron, la società californiana di trasporto dell’energia che grazie alla deregulation si cimenta in acquisti e vendite di gas e elettricità, differiti nel tempo e particolarmente esposti alla speculazione. Che presto si rivelano fittizi, coperti da società di certificazione, dagli interventi dall’alto dei poteri federali entusiasticamente accecati dalla luce della maschia e profonda amicizia tra il giovane Bush e il presidente della società, magnanimo finanziatore dei repubblicani, oltre che dall’affettuosa protezione di alcuni giudici della Corte suprema del Texas. Anche in quel caso né la serie impressionante di blackout che colpì la California, né l’impennata dei prezzi e delle tariffe, né la denuncia della scandalosa esenzione della Enron dall’obbligatoria vigilanza della commissione di controllo sui derivati, scalfì la fiducia delle agenzie di rating e il crollo della Enron trascinò nella rovina masse di azionisti e di risparmiatori, allegoria sinistra della guerra del libero mercato contro il bene pubblico.

E proprio quando negli Usa, l´indebitamento privato si è convertito in indebitamento pubblico attraverso un gigantesco salvataggio e – finale grottesco del dramma – le agenzie di rating, che non avevano mosso ciglio di fronte all´”euforia irrazionale” dei mercati, secondo l’efficace formula coniata dall’ex governatore della Banca Centrale americana Greenspan, hanno bocciato gli Stati colpevoli dei loro debiti dando un´altra bella spinta alla crisi. Attraverso questi suoi killer il Mercato promuove o declassa pubblicamente i governi democratici, confermando che questo susseguirsi ricattatorio di bocciature altro non è che la tromba che annuncia un´offensiva più generale della “cupola finanziaria” che non è un’entità metafisica ma una concentrazione di poteri, se quattro grandi banche americane detengono il 94% dei derivati emessi negli Stati Uniti.
Marx aveva definito lo Stato moderno, il comitato d´affari della borghesia. Oggi Lo Stato finisce per essere un organismo al servizio del Mercato Finanziario Mondiale, che diventa giudice delle sue performance attraverso i suoi ufficiali giudiziari, le agenzie di rating che , travalicando la funzione tecnica di valutare i rischi dei singoli titoli, si sono auto attribuite il compito di giudicare l’affidabilità complessiva del debito pubblico dei governi. Che ancora una volta non lascia dubbi sulla competenza e sulla anodina apoliticità dei soggetti “tecnici”, come risulta dai tanti attestati di ineccepibile solidità emessi dalle agenzie a “beneficio” dei risparmiatori su grandi banche d’investimento alla vigilia del loro clamoroso fallimento (per la storia: nel 2008 sette giganti “votati” con titoli lusinghieri dalle agenzie di rating, Aig., Bear Sterns, Citigroup, Contrywide Financial, Lehman Brothers, Merryl Lyngh, Washington Mutual, collassavano con perdite di 107 miliardi di dollari, non gravanti sui loro dirigenti che nel frattempo – 2007-2008 – intascavano 450 milioni di dollari).

Viene bene il paragonare il sistema finanziario a una casa da gioco planetaria, dove ogni giorno si scommettono somme di denaro enormi e di notte l’azzardo continua dall’altra parte del mondo. Nelle torri di acciaio e cristallo le stanze sono piene di gente che punta, gli occhi fissi sul pc, sui prezzi che cambiano di continuo, o l’orecchio ai cellulari intercontinentali, come i clienti del casinò seguivano la pallina che gira sulla roulette o le fisches sul tappeto. Se i croupier sono i banchieri, gli intermediari, le agenzie di rating sono gli ispettori, pagati dal casinò, con le loro divise che dovrebbero certificare l’ufficialità della loro funzione e la cristallina correttezza delle regole del gioco, che proprio loro contribuiscono a truccare.
Altro che denuncia, bisognerebbe mettere al bando gli ispettori, rovesciare il tavolo e organizzare una nostra revisione contabile del debito, un controllo ferreo sui croupier, una vigilanza democratica perché il gioco è nostro.


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