di Emiliano Morozzi
Finanziamento pubblico ai partiti: è l’abolizione la soluzione giusta? Secondo la maggioranza degli italiani probabilmente sì, visto che vent’anni fa un referendum che ne proponeva la cancellazione vide i “sì” trionfare con percentuali che avrebbero fatto impallidire persino certi vecchi regimi comunisti dell’Est Europa. Per un problema che viene eliminato però ne vengono fuori altri: chi sosterrà le battaglie politiche dei candidati e cosa vorrà in cambio? E soprattutto, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti servirà davvero per cancellare il malcostume dello sperpero di denaro pubblico, oppure i partiti troveranno l’ennesima scappatoia per tornare a mangiare alla greppia delle finanze dello Stato?
Partiamo da un presupposto: lo sperpero che viene fatto dei soldi pubblici dai partiti politici ahimè di ogni colore è definibile con due sole parole, intollerabile e vergognoso. E altrettanto vergognoso è il metodo studiato per aggirare il risultato referendario: per questo motivo, coloro che hanno fatto dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti uno strumento di battaglia politica come Renzi e Grillo hanno ottenuto facili consensi.
Finanziamento pubblico ai partiti al capolinea? (tmnews.it)
Battaglie politiche che sono sicuramente condivisibili, ma lo sono altrettanto le soluzioni? Da una parte Renzi durante la campagna elettorale per le primarie del centrosinistra, ha agitato come una clava l’idea del dimezzamento del numero dei parlamentari. Potrebbe essere un’idea valida, certo, se non fosse per il semplice fatto che non arriva alla radice del problema, ovvero tagliare le reali fonti di spreco. Non è diminuendo i parlamentari che si toglie il malcostume, è togliendo ai parlamentari la possibilità di usare in modo sbagliato il denaro pubblico che si estirpa alla radice questo vizio ormai incancrenito in tutti i partiti politici. Dall’altra parte Grillo è più radicale, proponendo l’abolizione del finanziamento pubblico non solo ai partiti, ma anche ai giornali, e promettendo la restituzione dei rimborsi elettorali ottenuti dal suo Movimento 5 Stelle. Anche in questo caso, l’idea potrebbe essere anche fattibile e condivisibile, ma cosa accadrebbe dopo? In un paese come l’Italia, dove da sempre esistono i cosiddetti “poteri forti” che spesso condizionano la vita politica, e tante piccole e grandi “caste”, ognuna gelosa del proprio potere, fare politica dovendo andare a chiedere denaro a qualche finanziatore comporta l’altissimo rischio di avere un paese governato dalle cosiddette “lobbies”, che qui in Italia probabilmente finirebbero per stringere in un abbraccio mortale la politica. E se l’alternativa deve essere un paese “americanizzato”, dove la politica diventa un lusso che solo chi ha grandi e potenti finanziatori alle spalle si può permettere, forse sarebbe bene ripensare all’opportunità di una cancellazione totale del finanziamento pubblico ai partiti.
Comunque sia, la fonte dello spreco è un’altra: le dichiarazioni di Renzi e Grillo possono servire in campagna elettorale, ma inciderebbero di poco sulla realtà. Diminuire i salari, anche se in forma sempre più blanda, come vorrebbe Grillo (dai 2500 euro il mese siamo già passati a 6000) sarebbe inutile, se chi decide di tagliarsi lo stipendio incassa poi la parte mancante tramite rimborsi forfettari, difficili da gestire e da documentare come spreco, a meno che non si tratti di casi palesi come quelli dei consiglieri regionali calabresi che segnavano come spesa di rappresentanza i gratta e vinci. Allo stesso modo, diminuire i parlamentari non è garanzia di diminuzione dello spreco. Piuttosto, lo stato dovrebbe sforbiciare i rimborsi: garantire uno stipendio adeguato alle necessità di chi fa politica ma togliere tutti quei rimborsi che spesso finiscono per costituire un sostanzioso extra a quello che lo stato garantisce a chi dovrebbe sulla carta lavorare per lui. Se un parlamentare prendesse per esempio 5000 euro lordi il mese, come vorrebbe Grillo, nessuno avrebbe da ridire se lo vedesse una sera al ristorante a mangiare le ostriche: si potrebbero aprire questioni di opportunità politica, ma alla fine ognuno è libero di usare lo stipendio come meglio crede. Diversamente, sapere che quella cena di ostriche viene segnata dal medesimo come “cena di rappresentanza” e viene rimborsata dallo stato, farebbe infuriare chiunque e verrebbe additata come becero esempio di sperpero di denaro pubblico. È il confine sottile della decenza, quello che purtroppo la classe politica attuale ha ormai passato da tempo, perdendo ogni controllo nel crapulare a danno delle finanze dello stato.
La speranza è quella di vedere finire questo scempio, ma se le soluzioni portate sono queste, la celebre frase del “Gattopardo” torna tristemente d’attualità: “Cambiare tutto perché tutto resti come prima”.
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