E non è un caso che contemporaneamente Marchionne chieda di essere ringraziato per ciò che ha fatto, vale a dire sottrarre la Fiat alle normali relazioni industriali e Bombassei chieda la fine dei contratti nazionali: sanno che i tempi in cui si poteva facilmente ottenere qualsiasi cosa da servi di Silvio sta per scadere, per cui si affrettano a strappare gli ultimi vantaggi. Questo nella convinzione, purtroppo non campata in aria, che in Italia, cosa fatta capo ha.
Così Marchionne gonfia il suo maglioncino e la sua arroganza. Ha salvato la Chrysler dagli errori dei suoi manager strapagati prendendo a prestito una valanga di soldi pubblici, restituiti poi grazie al taglio dei salari e anche a leggi e leggine del governo federale che hanno tenuto alto il mercato. Ed è stato lui a ringraziare Obama, non il contrario.
Però non gli basta, vuole che lo ringraziamo per la sua politica antisindacale, per i suoi diktat, per l’umiliazione che ha inflitto al mondo del lavoro. Lui manager di un’azienda che nemmeno esisterebbe più da trent’anni se non fosse stato per le gigantesche iniezioni di danaro pubblico e per il monopolio di fatto che le è stato concesso. Lui che da solo con le sue stock option vale da solo più di tutti i sacrifici imposti a Mirafiori e Pomigliano. Lui che se gli va male, tornerà col cappello in mano a chiedere ancora soldi con l’unico argomento di sempre e di ogni luogo: il ricatto occupazionale.
Lui infine che è il protagonista delle peggiori performace del gruppo Fiat in Europa e che, per risalire la china, ora prone un bandone simil suv che ha già fatto cilecca in Usa. Com’è caratteristica di questi ometti gonfi delle loro fortune, non sa ringraziare.
Come non ringrazia nemmeno Bombassei e il suo codazzo di uomini al cachemire, rappresentanti di un’imprenditoria che non ha saputo e voluto investire in sviluppo, ma che ha sempre cercato di vincere la sfida con i salari bassi e la precarizzazione. E siccome non basta, siccome questa imprenditoria si è fatta bagnare il naso da Paesi con più diritti, più salario, spesso più oneri sociali e meno vantaggi, ora vuole far fuori l’ultimo ostacolo tra una società civile e la barbarie preindustriale: il contratto collettivo, così da poter ricattare non più una categoria, ma i singoli, cosa assai più efficace. Ma subito. Finché dura il giorno. Finchè Silvio c’è. E non c’è ancora l’Italia.