Mi è capitato di leggere recentemente un bel pezzo di George Lakoff, si intitolava “Le parole del cambiamento”. Regalava diversi spunti, riassumibili in questo passaggio: ”Per essere un vero leader non basta fare bei discorsi, ché governare significa affrontare le grandi sfide del momento, e non solo parlarne“. Mi ha colpito principalmente quel “non solo parlarne” che è un po’ il riassunto degli ultimi 20 anni di campagne elettorali. E che poi è anche il riassunto degli ultimi 20 anni della mia vita e anche un bel pezzo di esistenza di molti stronzi appartenenti alla mia stessa generazione. Una generazione che è stata costretta a misurarsi costantemente con il linguaggio della politica, raramente con i suoi risultati.
Una generazione che ha sempre “votato per qualcuno” perché “non poteva votare per qualcun’altro”. Abbiamo continuamente giocato sulla sottrazione, scegliendo il meno qualcosa di turno. Col passare degli anni ci siamo trasformati in un elettorato di frontiera, abbiamo puntato sulla ragionevolezza piuttosto che sull’emotività. Mai sull’emotività. Perché l’emotività è solo un laccio al culo che ti allontana dal parcheggio libero sotto casa. Facile, sicuro, indolore. E poi sei a casa.
Mancano pochi giorni al voto, e la buona notizia è che mancano pochi giorni alla fine di questa logorante campagna elettorale. Dove abbiamo dovuto ingurgitare di tutto, dai surreali dibattiti sulla restituzione dell’IMU, al recentissimo quanto caldissimo caso sul Master di Oscar Giannino. Di grandi o piccole sfide manco per il cazzo. C’ha provato Grillo, ma è un comico. Non c’ha provato quasi mai Bersani, che dalla parte sua c’aveva il grosso vantaggio di non essere un comico. Niente, solo l’eco di qualche grigia battaglia televisiva all’ultima promessa.
Che si può fare? Che si deve fare? Non lo so, non lo so, so solo che dobbiamo ripartire, serve ripartire, in qualche modo. Serve ricostruire un dibattito che abbia un senso. Da oggi, da domani. Con lucidità, senza farci prendere dal panico da cappio al collo. Non perdiamo questa dannata lucidità. Non abbiamo futuro, non lo possiamo scegliere, allora prendiamolo a calci in culo. Spegniamo la televisione, ritorniamo a parlare, a rompere i coglioni, trasformiamo il cacare il cazzo in una pratica efficace, per strada, a casa, in ufficio, cacate il cazzo a tutti, riprendetevi i microfoni, disertate le assemblee di condominio, cacate sui nani da giardino.
Boicottate, ragionate, ragionate cazzo, ragionate con la vostra fottuta testa. Sul serio vi bevete le puttanate del M5S? Davvero credete a quei balordi di Casapound? Avete visto la lista di Ingroia? Vi convince Giannino, Bersani, Casini? Sì, no, non importa. In realtà importa eccome, ma ne parliamo in un’altra vita. Questa è bella che andata. Intanto cerchiamo di ripartire, di riprenderci il tempo buttato nel cesso, regalato a Facebook, a Giletti, a Santoro.
Riaprendiamoci le cose che sono sempre state nostre, i luoghi, le piazze, le tazze. Uscite, non restate a casa, uscite e spegnete quel cazzo di smartphone perdio. Vi accusano di aver cacato su Brontolo? Cacate anche su Mammolo. Scrollatevi le etichette, bruciate le tessere di partito, obiettate su tutto, discutete con chiunque, riprendetevi i discorsi. I discorsi non sono un semplice dettaglio, sono parte dell’agire, parte del lottare.
Lottate come se non ci fosse un domani. Anche perché non c’è.
L'articolo Fine di una logorante campagna elettorale è ovviamente opera di Frankezze.