Dopo la breve estate liberale di Medvedev, il cui culmine è stata l’intesa, vacua quanto obbligata, con Obama sulla riduzione dei rispettivi arsenali strategici nucleari (START III), e la presentazione del ‘reset’ dei rapporti russo-statunitensi, un bottone che non è mai stato premuto, si rimette in marcia il percorso verso la ricomposizione dello spazio geostrategico e geopolitico eurasiatico.
Il primo ministro russo Vladimir Putin ha scritto un articolo pubblicato sulle Izvestia, accennava all’Unione Eurasiatica quale potente alleanza economica. Nel suo articolo, Vladimir Putin si sofferma sul futuro di Russia, Bielorussia e Kazakistan, nel quadro dell’introduzione di uno spazio economico unico, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2012 nell’ambito dell’Unione Doganale. Per il primo ministro russo, l’Unione Euroasiatica soddisferà anche il ruolo di ‘efficace collegamento’ tra Europa e Asia-Pacifico. Uno spazio economico con un mercato di 165 milioni di consumatori, senza frontiera o altre barriere, in cui gli abitanti saranno in grado di spostarsi, lavorare e studiare liberamente. Mosca, Astana e Minsk integreranno le loro politiche economiche e monetarie, e costruiranno una vera e propria unione economica sull’esempio dell’Unione europea. Vladimir Putin ha messo in chiaro che questo è il primo passo verso l’integrazione dello spazio post-sovietico. Parlando a bordo dell’incrociatore Mikhail Kutuzov, a Novorossijsk, Putin ha presentato lo slogan ‘Andare avanti, solo in avanti!’ il che significa che non ci sarebbe stata più alcuna ritirata strategica. Inoltre, nel suo articolo, Putin ha ricordato gli stretti legami economici che univano le repubbliche sovietiche e che la rottura di questi legami, ha inferto un duro colpo ai nuovi Stati indipendenti.
L’articolo, in sostanza, delinea le politiche che Putin, se eletto presidente nel 2012, attuerà.
L’idea dell’unione attrae la maggior parte dei cittadini delle repubbliche post-sovietiche, mentre l’idea della libera circolazione dei capitali, attrarrebbe le imprese. L’Unione sarà sicuramente sostenuta da comunisti, nazionalisti, conservatori e liberali.
Così, Putin avrà buone possibilità di raccogliere un ampio supporto.
Un ulteriore elemento a supporto della visione di Putin, potrebbe essere il seguente:
Il Segretario di Stato dell’Unione di Russia e Bielorussia, Pavel Borodin, non sarà rieletto per un nuovo mandato a dicembre, le cui dimissioni imminenti sono state annunciati a Minsk, da Aleksandr Lukashenko e confermate dal Cremlino.
Al posto di Borodin, secondo una fonte dell’amministrazione presidenziali russa, si punta al leader del Movimento Eurasiatico Internazionale (MED) Aleksandr Dughin. Gli esperti ritengono che le dimissioni di Borodin suggeriscano che Vladimir Putin ha già intrapreso la creazione dell’Unione euroasiatica.
Venerdì scorso, il Presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, ha detto che la Russia vuole sostituire Pavel Borodin alla carica di Segretario di Stato dello Stato dell’Unione di Russia e Bielorussia.” Informa RIA Novosti: “La Russia invita un’altra persona – è un suo diritto. Per inciso, il presidente del Consiglio di Stato Supremo è vostro umile servitore, “- ha detto Lukashenko, i 7 Ottobre 2011, in una conferenza stampa con i media russi in Bielorussia, sottolineando che si stava prendendo in considerazione questa raccomandazione. La fonte dell’amministrazione presidenziale ha confermato che il nuovo Segretario di Stato dell’Unione potrebbe essere il capo del MED, (Dughin)” Aleksandr Gelevich Dughin aveva detto: “Oggi siamo tutti Lukashenko, Gheddafi, Saddam Hussein. Tutti noi siamo rappresentati dagli Stati sovrani e indipendenti che lottano fino all’ultima goccia di sangue contro il processo di sottrazione della sovranità, la colonizzazione e la globalizzazione“. Il progetto di Unione Eurasiatica, che resta aperto ad altri possibili aderenti, soprattutto alle ex repubbliche sovietiche, reintegra anche la Belarussia di Lukashenko, che negli ultimi anni, sotto la presidenza liberal-energetica di Medvedev, aveva subito varie forme di ostracismi e vessazioni. A queste mosse strategiche si associa anche un’altra importante repubblica ex-sovietica, il Kazakhstan: “Almaty e personalmente il presidente Nazarbayev sono sempre stati a favore di una più stretta integrazione economica con la Russia e gli altri paesi dell’ex URSS. L’Unione Euroasiatica che il presidente Nazarbayev propose per primo nel 1994, dovrebbe apportare un mutuo beneficio ai propri partner”. Il Kazakistan è già un entusiasta sostenitore dell’unione doganale con la Russia e la Bielorussia, che Putin vede come il trampolino di lancio per l’Unione Eurasiatica.” E nel frattempo “IlKazakistan ha tolto la moratoria sui lanci di prova dei missili balistici intercontinentali (ICBM) russo dal centro spaziale di Bajkonur, ha detto il capo della agenzia spaziale russa Roscosmos Vladimir Popovkin. ‘Ora che il divieto è stato tolto saremo testeremo lanciare un ICBM da Baikonur a novembre’.” Questo programma mette fine all”estate liberale‘ di Medvedev, che tramonta sotto i colpi di un vento autunnale che ha gelato le prospettive filo-occidentali del partito dell’energia (Gazprom e associati) cui Medvedev è il referente. Tale sferza proviene dalle sabbie del Sahara libico, dove le potenze occidentali e i loro stati tributati petro-monarchici del Golfo Persico, approfittando dell’incertezza vigente a Mosca e a Beijing, hanno ottenuto mano libera contro un paese amico, la Jamahiryia Libica, che da febbraio 2011 è sottoposto a una brutale aggressione e a uno spietato bombardamento aereo della NATO. A tale aggressione partecipano tutti i tipi di asset militar-spionistici e d’influenza cui dispongono le potenze occidentali: mercenari para-narcos latinoamericani; al-qaidisti recuperati a Guantanamo o nelle prigioni dell’Afganistan; mercenari della Blackwater; truppe speciali anglo-francesi e dei petro-emirati, squadroni della morte islamisti e tribali del Nord Africa; ex-monarchici, oppositori e transfughi del regime libici. Il tutto assistito dalla kermesse mediatica occidentale (cui hanno prestato il fianco le maggiori vedette del bel mondo intellettuale della sinistra occidentale, ex-marxista o post-marxista che sia). La Libia, comunque, rappresenta il canto del cigno dell’apparato mediatico-propagandistico della disinformazione strategica occidentale, poiché difficilmente riuscirà a metter a segno lo stesso colpo permesso dalla cosiddetta ‘Primavera Araba‘: “Le autorità siriane hanno messo in guardia la comunità internazionale da un riconoscimento ufficiale del Consiglio nazionale, composto da oppositori del presidente siriano Bashar Assad. ‘Adotteremo misure severe contro uno Stato che riconosce questo consiglio illegale’ – ha detto oggi il ministro degli esteri siriano Walid al-Muallem in una conferenza stampa, informa Xinhua. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche i ministri di cinque paesi dell’America Latina (Bolivia, Venezuela, Nicaragua, Cuba ed Ecuador), che sono arrivati a Damasco per esprimere il sostegno al governo della Siria. Al-Muallem ha espresso il parere che le sanzioni imposte dall’UE all’economia della Siria ‘con il pretesto dei diritti umani’, hanno lo scopo di ‘far morire di fame il popolo siriano.’ Inoltre, il ministro ha detto che oggi 110 poliziotti e 1000 militari sono stati uccisi da “gruppi armati” che ricevono finanziamenti e sostegno materiale dai paesi occidentali. Il capo della diplomazia siriana ha anche espresso l’apprezzamento verso Russia e Cina per la loro presa di posizione nel Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite (ONU). Ricordiamo che recentemente i due Paesi hanno bloccato l’adozione della risoluzione antisiriana al Consiglio di sicurezza dell’ONU, grazie al loro veto. “La Russia avverte di non permettere eventuali interferenze straniere negli affari della Siria e chiede un dialogo nazionale in Siria con la partecipazione dell’opposizione,” ha detto al-Muallem.” La Russia e Cina, quindi bloccano l’assalto dell’occidente contro la Siria. I due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno posto il veto sulla bozza di risoluzione promossa da Francia, Germania, Inghilterra e Portogallo in cui si condannava il regime di Assad per la dura repressione delle aggressioni islamiste camuffate da ‘pacifiche’ manifestazioni di civili ‘dissenzienti’. Su quindici componenti del Consiglio, nove hanno votato a favore: Francia, Inghilterra, Germania, Portogallo, Stati Uniti, Bosnia Erzegovina, Nigeria, Gabon e Colombia. Quattro gli astenuti: India, Sud Africa, Libano e Brasile (insomma il BRICS). Ovviamente, i presunti promotori mondiali della democrazia e dei diritti non hanno accettato la decisione dei russi e dei cinesi. Susan Rice, rappresentante permanente degli Stati Uniti all’ONU, ha dichiarato che Washington è ‘indignata’ per il risultato del voto. “Oggi la Siria ha avuto la prova di quali sono i Paesi che hanno ignorato il suo appello. Questo Consiglio ha il dovere di porre fine a sei mesi di violenze, torture e repressioni. E ha il dovere di prendere una decisione che garantisca la pace e la sicurezza di un paese e di milioni di persone“. Neanche il rappresentante francese, Geraud Araud, non riuscendo più a trattenere la rabbia per lo smacco subito (e per la consapevolezza che il trucco oramai non funziona più) è giunto a dire perfino che il “veto politico è dettato da interessi particolari” (senza commenti). Comunque, le potenze occidentali hanno avvertito che il veto non fermerà il loro sforzo a porre fine alla sovranità della Siria. E tutto ciò accade, mentre a Sirte, va in fumo l’ennesima promessa di una vittoria decisiva avanzata dal CNT: “Nell”offensiva finale’ contro Sirte, dove migliaia di ribelli montati su pickup e appoggiati da carri armati T-55, eseguono un attacco simultaneo da est, lungo la costa, e da sud. Le bande armate golpiste, assaltano l’ospedale, il centro congressi Ouagadogou e l’Università. Sebbene gli attacchi aerei della NATO contro i lealisti infliggano 40 caduti tra i loro ranghi, il contrattacco delle forze patriottiche respinge l’offensiva ribelle e scaccia dall’università gli occupanti golpisti, eliminando 211 combattenti del CNT, tra cui il loro comandante, il colonnello Amin al-Turki, che poche ore prima aveva detto “Stiamo per porre fine a questa resistenza. Sirte è nostra!”; inoltre restano feriti altri 300 elementi delle forze ribelli, le quali si ritirano disordinatamente. Secondo un comandante militare del CNT, Abdel-Basit Haroun, il bilancio delle perdite subite dai golpisti sarebbe di 560 ribelli uccisi e oltre 900 feriti.” 10/10/2011 Alessandro Lattanzio, storico, esperto di questioni militari, è redattore di Eurasia. È autore, fra l’altro, di Terrorismo sintetico (all’Insegna del Veltro, Parma 2007), Potere globale. Il ritorno della Russia sulla scena internazionale (Fuoco, Roma 2008), Atomo Rosso. Storia della forza strategica sovietica (Fuoco, Roma 2009) e L’Eurasia contesa (Fuoco, Roma 2010).http://sitoaurora.altervista.org/home.htm http://aurorasito.wordpress.comCondividi: