TRAMA
Un fuggitivo, Michel, reduce da un furto e un omicidio, si rifugia nella love story con una studentessa inglese che vende l'Herald Tribune. Tra menzogne e passione, la storia non potrà che avere esiti tragici.
RECENSIONE
Cosa si può aggiungere a un film che ha cambiato per sempre la storia del cinema? A Fino all'ultimo respiro si devono moltissimi elementi diventati poi comuni nel cinema di oggi che però erano impensabili fino allora: i cosiddetti "tempi morti", personaggi che si rivolgono direttamente alla telecamera, uso della camera a spalla, montaggio disconnesso, citazioni di altri film, negazione di una trama e dell'importante dei dialoghi....Senza Fino all'ultimo respiro non avremmo mai avuto Tarantino, tanto per far un esempio specifico. In generale, non avremmo mai avuto quel cinema che oggi consideriamo d'autore: Godard sfidò il cinema dell'epoca proponendo un'alternativa e da quel momento il cinema si sarebbe sempre più diviso tra cinema "d'autore" e non, tra registi che vogliono curare ogni aspetto possibile dei loro film e registi che lavorano per commissione. Naturalmente questa è una semplificazione, ma il film fu il primo ad esprimere quel concetto di "politica degli autori" (da qui il nome cinema d'autore) apparso qualche anno prima sulle pagine dei Cahiers du Cinéma.
Da una parte un ritorno al passato quando i dialoghi non erano così necessari: emblematica e citatissima in seguito, la chiusura a iride tipica dei film muti, dall'altro un grande passo verso un cinema del futuro che trova nuove vie per comunicare. Non servono più storie, né personaggi, né dialoghi. Basta seguire lo zigzagare di un criminale ed ascoltare i suoi dialoghi non troppo sensati. Pur non essendo il primo film della Nouvella Vague, Fino all'ultimo respiro ne è sicuramente il manifesto. Quale sia esattamente il primo film di questa corrente cinematografica è difficile dirlo, siccome i critici non l'hanno ancora deciso: che sia Ascensore per il patibolo di Louis Malle, I quattrocento colpi di François Truffaut o Hiroshima mon amour di Alain Resnais, il più celebre, storico e simbolico resta questo film d'esordio di Godard, scritto con l'altro regista simbolo della Nouvelle Vague, destinato poi a una carriera di maggior successo e respiro, ovvero François Truffaut. A dire il vero il film si basa su un soggetto, e la sceneggiatura fu decisa ciak dopo ciak. Il film deve molto poi al protagonista, negativo, che non fa nulla per farsi amare dallo spettatore eppure alla fine affascina. Al suo fianco un'algida, androgina eppure sexy Jean Seberg, pronta a impersonare un nuovo tipo di femminilità.
CAST JEAN SEBERG (1938-1979) Nell'immaginario collettivo Jean Seberg è rimasta la ragazza coi capelli cortissimi che fa innamorare Bebel in questo film iconico. Una ragazza emancipata e forte, in parte lontana dalla donna che l'attrice diventò. Jean soffrì spesso di depressione e si tolse la vita a 39 anni con il solito sovraddosaggio fatale di barbiturici. La sua scomparsa provocò molto scalpore perché si vociferò che fosse coinvolta la CIA.
JEAN-PAUL BELMONDO Il suo primo ruolo importante, ma anche quello più importante. Per la sua biofilmografia cliccare qui.
REGISTA JEAN-LUC GODARD Nato nel 1930, simbolo della Nouvella Vague di cui dirige alcuni film simbolo come La donna è donna, Band à part, Due o tre cose che so su di lei.