Senza le tare della facile polemica da un lato o della avvilente piaggeria dall’altro, penso che manifestare dissenso richieda sempre più impegno del dare assenso. Al dissentire, quando comporta lo sforzo di formulare una critica costruttiva, offrendo una proposta alternativa, attribuisco maggior credito di considerazione di quanta ne riservo al consentire, poiché quest'ultimo può sempre celare l’apatia intellettuale che si adatta, con distratto appiattimento, su una posizione già espressa, già esistenze. Il consenso rafforza la conservazione, il dissenso stimola il cambiamento.
Bisogna senz’altro evitare l’insidia psicologica della critica a prescindere, del voler ostentare una specificità di pensiero pignola e preventiva, incurante della bontà dell’affermazione criticata, del volersi curare soltanto di perseguire uno stucchevole originalismo compiaciuto. Colui che siede sempre e comunque dalla parte della minoranza di pensiero, dando contro alla maggioranza, non dà prova di intelligenza critica, rivela piuttosto un bisogno di rispecchiarsi nella propria vanità, in cerca di ogni mezzo di distinzione apparente. C’è della miseria in colui che puntualmente non compiace l’altro, mosso a fare il bastian contrario unicamente dal bisogno di compiacere se stesso, celando smanie di visibilità o fragilità psicologiche dietro un paravento di contrapposizione di granitica cartapesta.
È molto meglio valutare prima cosa si reputa personalmente giusto o sbagliato, per poi attribuire il proprio consenso o dissenso davvero a chicchessia, chiunque egli sia, qualunque sia il suo peso. Troppo spesso prima e invece di valutare cosa ha detto chi, ci si preoccupa di sapere chi ha detto cosa. Contrapporsi a chi è seduto dalla parte dei più non deve mai essere un allettante ripiego di ribellismo di facciata, non deve nemmeno essere una scelta fatta per puro vezzo d’apparir diversi, finanche migliori. Altrimenti si svilisce la preziosità delle scelte quando sono davvero coraggiose, controcorrente, sapendosi schierare dalla parte dei meno, agendo senza calcoli di tornaconto. Al netto di questi equivoci, ho più simpatia per chi dissente di quanta ne nutra per chi acconsente, soprattutto nella nostra epoca, dove i social network tendono a favorire atteggiamenti consensuali, dove un certo marketing sociale del consenso incentiva e premia in visibilità quelli pronti a offrire zelanti “mi piace”.
Anche fuori dal confronto e dal dialogo, scadendo nelle forme istintive del fischio e dell’applauso, scorgo ancora il primato del dissenso sull’assenso, del fischiare sull'applaudire. A meno che non lo si faccia in modalità da pilota automatico, per fischiare in maniera credibile occorre prestare orecchio a chi parla, concentrando i fischi sui passaggi non condivisi. Applaudire, a ben vedere, vien molto più facile, al punto di poter anche sempre applaudire senza mai incorrere in totale contraddizione. L’applauso in accordo con i contenuti espressi non fa una piega, l’applauso a esternazioni non condivise può sempre essere spacciato per sarcastico e irrisorio. Insomma, l’applauso può essere impostato col timer, fatto a comando, senza stridere troppo con il buonsenso generale. Il dissenso, anche nella più sbrigativa forma del fischio, richiede comunque un minimo di attenzione e impegno di concentrazione sulle opinioni altrui, per poter fischiare soltanto le affermazioni ostili.
Il discorso al Parlamento del Capo dello Stato, in occasione del giuramento per il secondo mandato presidenziale, ha confermato che applaudire è facile strumento alla portata di chiunque abbia due palmi opponibili. Sono stati lampanti l’assurdità e il cattivo gusto della maggioranza dei parlamentari che, seppur destinatari della dura ed esplicita reprimenda per le loro mancanze produttive, anziché limitarsi ad ascoltare in ricettivo, penitente silenzio, non hanno saputo far altro che applaudire di rimando, come sordi beoti. Ciò genera molti dubbi sull’effettiva capacità di ascoltare e fare autocritica, certamente ben celata dietro quegli applausi entusiastici; fa anche capire come l’applauso incontrollato possa trasformarsi da comodo strumento di polemico sarcasmo ad avvilente macchietta d’autoirrisione.
In quel frangente, ha meritato più considerazione il dissenso educatamente non fischiato in forma di non applauso (quando il silenzio diventa assordante...) del Movimento Cinque Stelle. Purtroppo, anch’esso, è scaduto nell’automatismo del dissenso a prescindere, perché avrei avuto piacere d’assistere a un preciso, specifico applauso unanime di tutti i parlamentari della Repubblica come omaggio dell’Aula all'atto del giuramento del nuovo Presidente della Repubblica. Ma ciò rientra nella scelta di una polemica elevata a cifra critica, cui si contrappone un applauso di connivenza elevato a proposta.
Siamo ancora una volta in balìa della contrapposizione pregiudizievole, sia in forma d’applauso che in forma di fischi, entrambi irrigiditi su posizioni d’autoconservazione d’identità, chiuse e impermeabili, quindi impossibilitate ad ascolto e dialogo autentici, senza i quali non possono succedere confronto e critica.K.