Quando Alfano e i ministri pidiellini del governo Letta maturarono lo strappo con Berlusconi che avrebbe portato alla nascita del Nuovo Centrodestra, Raffaele Fitto volle interpretare, con l’ottusa intransigenza che non pochi danni aveva già causati alla causa del centrodestra, la figura del capo dei lealisti. Non gli credeva nessuno, naturalmente. E men che mai il suo antico mentore Silvio, che tentava disperatamente di tener insieme le anime del partito: troppa scoperta era la voglia del musone pugliese di spingere i traditori alla rottura col partito. In quei giorni di burrasca, meno di un anno e mezzo fa, ad Alfano che rilanciava l’idea delle primarie del centrodestra, Fitto rispondeva che a decidere sul candidato premier sarebbe stato il solo Berlusconi fintantoché il fondatore fosse rimasto al timone del partito.
Oggi Fitto è a capo di una vera e propria corrente di Forza Italia, dipinge se stesso come un dissidente mezzo perseguitato e come tale usa i giornali dell’anti-berlusconismo antropologico come megafono; e in più chiede a gran voce le primarie per eleggere i nuovi vertici del partito. Col Patto del Nazareno ha usato la stessa tattica. Lo ha propagandato a destra e a manca come un asservimento di Forza Italia alla politica del governo, ed ha agitato lo spettro di una sua possibile confluenza nel futuro Partito della Nazione renziano. Alla rottura del Patto (peraltro non del tutto consumata) mentre Berlusconi cominciava a riannodare i fili dell’alleanza con Salvini, senza nel contempo rompere con Alfano, non badando, saggiamente, agli sciocchi veti vicendevoli dei due giovanotti, Fitto si metteva a denunciare la subalternità di Forza Italia alla Lega, come prima aveva denunciato quella nei confronti di Renzi.
Fitto non è nuovo a queste alzate d’ingegno. Nel 2010 regalò la Puglia alla sinistra incaponendosi contro la candidatura della Poli Bortone che aveva buone possibilità di vincere; ad opporsi alla fondatrice di “Io Sud” restarono solo Fitto e suoi sodali, tenacemente sordi a ogni buon senso; Berlusconi, sempre troppo buono, preferì non guastare i rapporti col genio del Salento ed incassare una sconfitta scritta in partenza.
Nonostante queste corbellerie, di cui non ha mai fatto ammenda, Fitto il Ricostruttore va dritto per la sua strada: distruggendo tutto, dice di voler «ricostruire il centrodestra, dare un contributo alla ricostruzione del nostro partito e del nostro paese». Quali siano però le sue idee, nessuno lo sa. E probabilmente nemmeno lui. In questo l’imbronciato Fitto è tremendamente democristiano. Alla Convention dei Ricostruttori ha voluto parlare «per prima cosa» dei contenuti dell’impegno politico della sua corrente. L’espressione «per prima cosa» è servita naturalmente per puntellare il nulla che ne sarebbe seguito: per intenderci, una premessa «forte» tanto quanto una «forte» risposta prodiana.
Infatti Fitto ha tirato fuori dal cilindro nientepopodimeno che la minestra riscaldata dello sforamento del 3% del rapporto deficit/Pil, rinfacciando a Renzi di aver mancato alla promessa di ottenere in sede europea quella flessibilità nei conti pubblici tanto necessaria alla nostra economia. Inoltre, ha attaccato il governo per non essere riuscito «ad ottenere altri portafogli in Europa» e di essersi accontentato «dell’Alto rappresentante della politica estera». In sostanza: finanze allegre e cariche, il pane della politica dai tempi di Tiberio e Caio Gracco.
Il fatto grave è però che Fitto, esattamente come tutti gli altri aspiranti piccoli leader del Centrodestra, è intimamente anti-berlusconiano proprio in ciò che ha costituito e costituisce l’essenza del berlusconismo come fenomeno strettamente politico, e che è il motivo vero per cui ancor oggi la vecchia e malandata figura del Cavaliere è combattuta con ogni mezzo: la volontà pervicace di riunire in un’unica piattaforma politica tutte le possibili destre del paese.
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