Un esperimento interessante quello di Five day shelter, lungometraggio irlandese di Ger Leonard, presentato nella sezione “Competition” del Festival di Roma.
Il film, girato in 35 mm, mette in scena, nello spazio narrativo di cinque giorni, le vicende di alcuni individui all’interno di un contesto urbano non meglio precisato, mostrando, con un minimalismo che riduce all’osso i dialoghi, una vivace rassegna di miserie esistenziali che spesso il flusso stordente della quotidianità occulta.
Tutti i personaggi rappresentati intrattengono rapporti con animali domestici, con i quali sembrano condividere un destino crudele, quasi fossero impastoiati in una tela di ragno da cui pare impossibile liberarsi. La sgranatura dell’immagine, fortemente ricercata, fornisce una certa gravità alle situazioni affrontate, oltre a una sensazione di claustrofobia che accompagna il film dall’inizio alla fine. L’incapacità di emanciparsi da uno stato di menzogna continuata è ciò che impedisce a ciascuno di trovare una via che conduca alla liberazione, e lo spettatore è sballottato dalla desolazione delle piccole tragedie domestiche, spesso le più esplosive, a disperate situazioni di disagio dovute al consumo di droga. E, come alcuni animali randagi, che una volta catturati e messi in uno stato di cattività, attendono la soppressione, evitabile solo grazie all’intervento di un illuminato nuovo padrone, così i personaggi che si muovono in questo film potrebbero salvarsi solo se disposti ad aprirsi a una verità (la propria) che ogni giorno pare sempre più sfuggirgli di mano.
Five day shelter certamente non entusiasma, e forse la scelta di selezionarlo come film in competizione per il Marco Aurelio d’oro pare abbastanza azzardata. Sarebbe stato più opportuno inserirlo come indipendente magari nella sezione “Extra”.
Luca Biscontini