20 marzo 2013 Lascia un commento
Semplice, non e’ possibile.
Documentario coprodotto dalla RAI, invariabilmente tacciabile di nepotismo, fosse solo per la presenza dei soliti noti, Steve Della Casa su tutti ma per Flaiano si chiude un occhio persino sui bassi opportunismi di quel sistema che per tanti anni egli ha provveduto a smontare e che anche grazie al suo aiuto, oggi lo sappiamo riconoscere e riderci su.
Non si puo’ raccontare Flaiano e infatti non viene raccontato, la sua vita e’ solo sfiorata, la sua carriera schiacciata negli stereotipi un po’ noti che danno ampio spazio a Fellini e in generale al cinema, grande amore finito male ma che egli in fondo non smise mai di amare anche quando lo osservava sconsolato in qualche sala di provincia.
Flaiano lo si vede poco, lo si sente ancora meno e va bene cosi’, perche’ era Parola, non immagine, artigiano del pensiero non dell’azione.
Ancora piu’ giusto non scendere in troppi dettagli della sua vita privata, qualche accenno alla moglie e alla figlia naturalmente, momento straziante che conduce all’abisso di un uomo al quale ad un certo punto strapparono l’anima dal petto, riuscendo a salvare soltanto un po’ di umanita’, sufficiente pero’ ad ergersi grande tra i grandi.
Qualche intervista e qualche video di repertorio, pochi ma importanti come il rivedere Gassman che ricorda "Un marziano a Roma", ascoltare la nostalgia della Milo e i molti interventi di Vaime, testimone privilegiato e arguto.
C’e’ anche qualche recitativo, Elio Germano interpreta alcuni brevi estratti e si fa guardare, anzi piacere, scelta in fondo azzeccata per portare Flaiano ad un presente ancora colmo delle sue idee e delle sue analisi.
Una volta tanto soldi pubblici ben spesi, sapendo che per Flaiano lo sono sempre.
"Dottore, c’era pure la Scippona/ Fusto, la Betti e Anito,/ Zio Cinquesacchi, la Strabidona,/ Toto Galera, Giggi l’Impunito./C’era Arbasino, Cagnara, il Bandito,/ Moravia, Pasolini e Culosfranto./ Verso la fine entrorno senza invito/ er Magnaccia co’ ‘n frocio, e fu lo schianto"