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Ciò si può dire, in particolare, di queste Cronache dublinesi. E, prima di tutto, mi sembra, va reso merito al traduttore di quest'opera che deve aver presentato difficoltà notevoli per l'irriducibile vocazione ai calembours di Flann O'Brien. La traduzione, in genere, è opera piuttosto complicata (che rappresenta, anche se a livello diverso, oggetto del mio lavoro), ma, conoscendo l'ardua lingua dell'autore, credo che Daniele Benati abbia ottenuto un risultato molto più che buono, in alcune pagine, direi anche brillante (senza contare l'eccellente postfazione).
Come rendere conto, infatti, dei personaggi e dei colori irlandesi di Flann O'Brien? Queste Cronache dublinesi (pubblicate da Neri Pozza, Vicenza 2008) costituiscono una selezione tra gli articoli che per oltre venticinque anni l'autore pubblicò quotidianamente - in gaelico e/o in inglese - per l'Irish Times (per un totale di oltre tremila pezzi), con l'ulteriore (e neanche l'ultimo) pseudonimo di Myles na gCopaleen. La rubrica si chiamava Cruiskeen Lawn, che Daniele Benati traduce con Un boccale traboccante) e rappresentava una fonte di freschezza e ilarità per una Dublino tristemente a confronto con la propria debolezza e una guerra insensata. Ciò che colpisce il lettore italiano non è tanto l'inventiva che ogni articolo - e, direi: ogni frase - esibisce, quanto la varietà che assume l'appuntamento quotidiano con la città e la cultura irlandese.
Nell'antologia di Neri Pozza (riedizione di un volume edito nel 2005 da Giano), troviamo scritti appartenenti a diverse fasi dell'ispirazione di Flann O'Brien, ma tutte volte a fustigare l'ignoranza e la stupidità della gente comune e dei suoi falsi miti. Un po' come nelle nostre riviste settecentesche, e in particolare ne La frusta letteraria di Giuseppe Baretti, ma con un occhio più attento alla quotidianità, in Cruiskeen Lawn non si risparmia nessuno e si tende a formalizzare tipi e situazioni, per farne protagonisti di un teatrino quotidiano con l'umorismo un po' rivoltoso del moralista, ma mai del reazionario.
Nella prima sezione antologizzata, quella che ho più amato, Myles na Gopaleen (con la grafia gaelica semplificata) entra a far parte di una fantomatica ASAAM (Associazione degli Scrittori, Attori, Artisti e Musicisti Irlandesi). Tale formazione servirà all'intrepido intellettuale per organizzare una serie di servizi di pubblica utilità, quale lo stropicciamento programmato di libri altrimenti intonsi e un sistema di coltissimi accompagnatori ventriloqui, che fanno le veci di broccoli mondani incapaci di proferir verbo coram populo. Nella seconda sezione, invece, nella forma mimetico-satirica (e intrisecamente diatribica) di origine più dotta, quella di un dialogo alla fermata dell'autobus, in cui, dunque, i tempi sono scanditi intradiegeticamente - ovvero: a ghiribizzo dell'autore - dal topos ineludibile dei servizi pubblici. Protagonista assente di questa sezione è il "Fratello", persona schematica e imprevedibile, dall'inventiva infallibile a dire del suo coinquilino credulone e chiacchierone. Emblema del borioso dandy nullafacente e pericolosissimo per sé e per gli altri, il Fratello è la volgarizzazione beffarda del capriccio artistico, letterario e musicale.
Ne L'Ufficio Ricerche, si presentano disegni di trovate quanto meno inutili, non estranee alle bizzarrie fumettistiche targate ACME, accompagnati da didascalie esilaranti e si esibisce un'inventiva linguistica funambolica, non sempre riuscita, ma sicuramente d'effetto. Ne Il tribunale distrettuale, si fa la conoscenza con un singolare imputato filosofo che si esprime in latino, cita Orazio e Cicerone e sega le barre del carcere per entrarci, piuttosto che per uscirne. Nel brevissimo (e, a mio avviso, un po' più noioso) Il Royal Myles na Gopaleen Institute of Archeology si va alla ricerca della cultura gaelica più ancestrale, che, a detta dell'autore, spazzerebbe via qualunque altra ipotesi sull'origine della civiltà umana.
Infine, nell'ultima e di nuovo corposa sezione dedicata agli Scocciatori, Myles na gCopaleen traccia una serie di ritratti, non proprio teofrastei, ma meno che mai junghiani, di persone con cui non si ama avere a che fare. Identificati da formule fisse (quelli che...), tipiche delle conversazioni intime e un po' acide di amici in libera uscita, ebbri di cinismo e di scoppiettanti malumori, questi uomini si avventurano nella memoria del lettore con la loro prepotente carica epigrammatica e realista: universale e insieme capace, con pochi tratti, di tracciare una radiografia della Dublino che raccontano.
P.S. Se Flann O'Brien avesse letto questo post, mi avrebbe schiacciato in una sola sua battuta, in un'allusione periferica dei suoi articoli. Peccato non lo possa fare: sarebbe divertentissimo!
P.P.S. Devo proprio appuntarmi di rileggere Il terzo poliziotto in italiano.
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