Flannery e la ferocia del gesto letterario

Creato il 19 aprile 2011 da Libereditor

Ci si lamenta sempre che il romanziere moderno non nutre speranze e che il mondo da lui dipinto è insopportabile. L’unica risposta è che chi non nutre speranze non scrive romanzi. Scrivere un romanzo è un’esperienza terribile, durante la quale spesso cadono i capelli e i denti si guastano. Mi manda sempre in bestia chi insinua che lo scrivere narrativa sia una fuga dalla realtà. È invece un tuffo nella realtà ed è davvero traumatizzante per l’organismo. Chi è senza speranza non solo non scrive romanzi, ma, quel che più conta, non ne legge. Non ferma a lungo lo sguardo su nulla, perché gliene manca il coraggio. La via per la disperazione è rifiutare ogni tipo di esperienza, e il romanzo è senz’altro un modo di fare esperienza.

(Flannery O’Connor)

C’è in Flannery O’Connor una certa ferocia del gesto letterario e uno sguardo tagliente davvero implacabile. Forse perché aveva un talento unico e scriveva in modo chiaro, pungente, memorabile.
Flannery O’Connor è stata una scrittrice introversa, appartata, ma anche una figura scomoda, sgradita, per certi versi imbarazzante.
Le sue storie si concentrano sui diversi aspetti dell’umanità presenti in situazioni di ogni giorno nella sua Georgia. Si occupano di questioni razziali, di cristianesimo, di conflitti tra le generazioni, di rapporti genitori-figli…
Flannery O’Connor utilizza la narrativa per provocare i lettori con alcuni degli interrogativi più profondi e inquietanti dell’esistenza.
Forse Harold Bloom aveva ragione quando scrisse che il modo migliore per leggere le sue storie è riconoscere subito che nei suoi racconti si è tra i dannati e poi passare subito, senza star lì tanto a pensarci su, a godersi quella sua arte di raccontare così grottesca e indimenticabile. Di sicuro diversa, insolita, straordinaria.


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