A meta' degli anni Ottanta, anche io - pur non essendo bionda - marciavo in divisa verso la mia brava scuola nella campagna britannica. (Il fatto che io oggi sia solo soldatino a meta' - purtroppo - e' probabilmente dovuto all'interruzione del processo dopo qualche anno, ma questa e' un'altra storia).
Inevitabile che in questi giorni mi tornino in mente alcuni episodi che evidenziano le caratteristiche distintive degli autoctoni. In questo viaggio nella memoria finora ne ho scovate tre, che elenchero' con gli illuminanti episodi corrispondenti.
1) Flessibilita'. Poco dopo il nostro arrivo in terra straniera, in miei genitori mi accompagnarono a comprare un paio di scarpe da ginnastica. Nel negozio non occorreva dire il numero di piede, perche' - miracoli della tecnologia - c'era una sorta di misuratore di piede che avrebbe rivelato la verita', scoraggiando chi aveva intenzione di bluffare. Mi misurarono il piede, e la macchina della verita' diede il suo responso. Solo che, una volta provate, le scarpe che corrispondevano a quella misura mi erano decisamente grandi. I miei genitori (io non parlavo ancora inglese) chiesero un numero in meno. Non l'avessero mai fatto.
Non se ne parla, signori, la macchina dice quel numero li' e deve esser quel numero li'.
La questione venne rimandata al manager del negozio, che giunse subito ad esercitare la sua autorita' sulla situazione. Prese la scarpa, la piego', la modello', la strapazzo'. Sottopiede, borotalco. Ma ancora non mi andava bene. La macchina pero' aveva detto cosi'. La macchina non si poteva contraddire.
Passammo nel negozio un tempo che mi parve lunghissimo, a discutere con negoziante e manager sulla possibilita' di provare un numero in meno. Non ci fu nulla da fare. La macchina diceva cosi' e cosi' doveva essere.
Uscimmo dal negozio a mani vuote.
2) Educazione. Un giorno avevo il raffreddore. Capita. Durante una lezione, mi soffiai il naso un po' rumorosamente. La maestra interruppe la lezione ed esclamo' disgustata: "That's so rude!". Da qui ho capito che il concetto di "rude" non era uguale in tutti i paesi. Quando mai sgridi un bambino perche' si soffia il naso, utilizzando, tra l'altro, l'apposito fazzoletto? In ogni caso, il cruciale concetto di rude anche piu' avanti non l'ho mai capito.
3) Tempra. A scuola, a meta' mattina, c'era l'intervallo. E si andava in cortile. Fin qui tutto bene. Solo un particolare: era vietatissimo indossare il cappotto/la giacca. Bisognava uscire cosi', in maglione, anche a novembre, anche a dicembre (e in Inghilterra la temperatura non e' proprio mite in quelle stagioni). Per temprarsi. Una suora arcigna sbarrava la strada verso lo spogliatoio dove la mattina deponevamo i cappotti. Dopo varie tonsilliti, i miei mi hanno fatto una giustificazione, che non risulto' nella concessione del cappotto, ma nell'intervallo all'interno. Sola, seduta in palestra.
Infatti sono cresciuta debole e dopo due giorni a Londra ho la laringite.
Magazine Cultura
A meta' degli anni Ottanta, anche io - pur non essendo bionda - marciavo in divisa verso la mia brava scuola nella campagna britannica. (Il fatto che io oggi sia solo soldatino a meta' - purtroppo - e' probabilmente dovuto all'interruzione del processo dopo qualche anno, ma questa e' un'altra storia).
Inevitabile che in questi giorni mi tornino in mente alcuni episodi che evidenziano le caratteristiche distintive degli autoctoni. In questo viaggio nella memoria finora ne ho scovate tre, che elenchero' con gli illuminanti episodi corrispondenti.
1) Flessibilita'. Poco dopo il nostro arrivo in terra straniera, in miei genitori mi accompagnarono a comprare un paio di scarpe da ginnastica. Nel negozio non occorreva dire il numero di piede, perche' - miracoli della tecnologia - c'era una sorta di misuratore di piede che avrebbe rivelato la verita', scoraggiando chi aveva intenzione di bluffare. Mi misurarono il piede, e la macchina della verita' diede il suo responso. Solo che, una volta provate, le scarpe che corrispondevano a quella misura mi erano decisamente grandi. I miei genitori (io non parlavo ancora inglese) chiesero un numero in meno. Non l'avessero mai fatto.
Non se ne parla, signori, la macchina dice quel numero li' e deve esser quel numero li'.
La questione venne rimandata al manager del negozio, che giunse subito ad esercitare la sua autorita' sulla situazione. Prese la scarpa, la piego', la modello', la strapazzo'. Sottopiede, borotalco. Ma ancora non mi andava bene. La macchina pero' aveva detto cosi'. La macchina non si poteva contraddire.
Passammo nel negozio un tempo che mi parve lunghissimo, a discutere con negoziante e manager sulla possibilita' di provare un numero in meno. Non ci fu nulla da fare. La macchina diceva cosi' e cosi' doveva essere.
Uscimmo dal negozio a mani vuote.
2) Educazione. Un giorno avevo il raffreddore. Capita. Durante una lezione, mi soffiai il naso un po' rumorosamente. La maestra interruppe la lezione ed esclamo' disgustata: "That's so rude!". Da qui ho capito che il concetto di "rude" non era uguale in tutti i paesi. Quando mai sgridi un bambino perche' si soffia il naso, utilizzando, tra l'altro, l'apposito fazzoletto? In ogni caso, il cruciale concetto di rude anche piu' avanti non l'ho mai capito.
3) Tempra. A scuola, a meta' mattina, c'era l'intervallo. E si andava in cortile. Fin qui tutto bene. Solo un particolare: era vietatissimo indossare il cappotto/la giacca. Bisognava uscire cosi', in maglione, anche a novembre, anche a dicembre (e in Inghilterra la temperatura non e' proprio mite in quelle stagioni). Per temprarsi. Una suora arcigna sbarrava la strada verso lo spogliatoio dove la mattina deponevamo i cappotti. Dopo varie tonsilliti, i miei mi hanno fatto una giustificazione, che non risulto' nella concessione del cappotto, ma nell'intervallo all'interno. Sola, seduta in palestra.
Infatti sono cresciuta debole e dopo due giorni a Londra ho la laringite.
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