Nel novero dei progetti avviati da Terna, principale proprietario della rete di trasmissione nazionale di energia il Meridione attira l’impegno finanziario più consistente. Nel piano strategico 2011-2015 presentato a febbraio, il gruppo guidato da Flavio Cattaneo ha programmato opere di ampliamento e incremento dell’efficienza della rete elettrica, per un ammontare complessivo di 5 miliardi di euro. Di questi, 1,5 miliardi riguardano progetti per lo sfruttamento di energie rinnovabili, di cui l’87% (pari a un valore di 1,3 miliardi) verranno allocati proprio nel Mezzogiorno.
Da una parte l’energia ricavata dal gas, dal sole e dal vento. Dall’altra una rete di distribuzione idonea a convogliarla e distribuirla in maniera equilibrata sul territorio. La posizione di economisti e ingegneri del settore energetico è ormai corale: sarà la combinazione degli investimenti infrastrutturali in ciascuno di questi ambiti a determinare un’ampia parte del futuro economico del Mezzogiorno.
Una prospettiva del resto legata all’elevato tasso d’esposizione ai raggi solari e ai moti delle masse d’aria sulle regioni meridionali dello Stivale; e alla loro stessa posizione nel bacino del Mediterraneo.
Soprattutto quella della Sicilia e della Puglia: ‘poli’ italiani per l’eolico e il fotovoltaico, ma anche territori altrettanto strategici proprio sul fronte del gas. La prima, dirimpettaia del Nord Africa, è punto di snodo dei gasdotti che partono da Algeria e Libia; la seconda, sarà la futura sponda d’approdo per il metano in arrivo dal mar Caspio.
Tutte fonti energetiche da sfruttare, sostengono sempre gli analisti del settore energetico, in maniera ‘sistemica’, cioè correlando gli investimenti in nuove centrali, soprattutto quelle per la produzione da fonti rinnovabili, con quelli per ampliare e rendere più efficiente la rete elettrica.
«È ciò che finora è mancato al Sud – dice Tullio Fanelli, dirigente dell’Enea (fino allo scorso febbraio componente dell’Autorità per l’energia e il gas). – Oggi – spiega – il Mezzogiorno fa registrare un fabbisogno energetico che pesa poco rispetto al resto del Paese: a fronte di una richiesta annua d’energia che nell’intera Penisola si attesta sui 52mila MW, la domanda di punta, al Sud, tocca i 15mila MW, mentre l’effettivo consumo supera di rado gli 8mila MW all’anno.
Il complessivo stock di impianti produttivi di energia, fra tradizionali e da fonti rinnovabili, totalizza oggi 40 mila MW di potenza installata: un numero che fa del Meridione un esportatore di energia».
In tutto il Sud lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, però, crescerà ulteriormente. Allo stato attuale, nella macroarea sono stati installati impianti per oltre 7mila MW. L’ultimo decreto sul Conto energia (il quarto), oltre a incentivi pari a 7 milioni di euro all’anno, prevede il raggiungimento di 23mila MW di sola produzione fotovoltaica entro il 2016.
Un quantitativo legato, stavolta, a impianti di dimensioni più piccole di quelli per i quali negli scorsi anni si è scatenata una vera e propria corsa alle concessioni e ai relativi finanziamenti pubblici. Ma che dovrà comunque essere assorbito e diffuso sul territorio attraverso il sistema di distribuzione, la cui attuale capacità è al momento nettamente sottodimensionata.
«Occorrerebbe – sottolinea Fanelli – potenziare in particolare gli investimenti nei sistemi di accumulo, ovvero le centrali di pompaggio idroelettrico».
Nel novero dei progetti avviati da Terna, principale proprietario della rete di trasmissione nazionale di energia il Meridione attira l’impegno finanziario più consistente. Nel piano strategico 2011-2015 , presentato a febbraio, il gruppo guidato da Flavio Cattaneo ha programmato opere di ampliamento e incremento dell’efficienza della rete elettrica, per un ammontare complessivo di 5 miliardi di euro. Di questi, 1,5 miliardi riguardano progetti per lo sfruttamento di energie rinnovabili, di cui l’87% (pari a un valore di 1,3 miliardi) verranno allocati proprio nel Mezzogiorno.
Tra tutte le opere in programma, l’intervento più importante è il ponte elettrico ‘Sorgente-Rizziconi’, tra Sicilia e Calabria, l’elettrodotto più lungo al mondo. Un’opera il cui costo ammonta a 700 milioni di euro, di cui 375 per il lato calabrese.
Dal 2005, anno della separazione dal gruppo Enel, ad oggi, Terna ha concentrato in Sicilia investimenti per 1 miliardo di euro, di cui 90 milioni per il riassetto della rete elettrica soltanto a Palermo.
«Nelle regioni del Sud le attuali carenze nei collegamenti elettrici influiscono sul costo della bolletta nell’ordine di almeno il 10% in più – sottolinea Edgardo Curcio, presidente dell’Aiee, l’associazione degli economisti dell’energia. – Per questo è fondamentale anche diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. In questo quadro, l’investimento nei rigassificatori è ineludibile».
Come altre grandi opere, questi terminali energetici suscitano accesi dibattiti sociopolitici. E concorrono a diffondere tra gli amministratori pubblici quella che viene ormai identificata come la nuova sindrome Nimto (acronimo di ‘not in my term of office’), che induce a evitare di occuparsene durante il proprio mandato.
Lo stanno dimostrando i casi dei rigassificatori di Porto Empedocle, progetto dell’Enel da otto miliardi di metri cubi di gas all’anno per oltre 700milioni di investimento, e di Brindisi, impianto per il quale la British Gas ha già sostenuto una spesa di 250 milioni di euro in 11 anni e che avrebbe dovuto importare 8 miliardi di metri cubi annui di metano dall’Egitto sin dal 2007.
Opere entrambe bloccate dal ricorso al Consiglio di Stato: nel primo caso da parte dei sindaci di Agrigento e Porto Empedocle e, nel secondo, da comune e provincia di Brindisi, insieme alla stessa regione Puglia. Non costruire questi impianti genererebbe, però, conseguenze economiche pesanti per la collettività.
Lo conferma Stefano Clerici, economista del gruppo Agici Finanza d’impresa, che cura lo ‘Osservatorio sui costi del non fare’: «Abbiamo calcolato che rinunciare a un impianto dalla capacità di 7-8 miliardi di metri cubi, determinerebbe, nell’arco dei prossimi 13 anni, costi sociali superiori ai 2 miliardi di euro».
«L’economia verde – conclude Alessandro Ortis, presidente di Medreg, l’Associazione dei regolatori per l’energia elettrica e il gas del Mediterraneo – è essenziale per il futuro dell’economia nazionale e del Mezzogiorno, in particolare. Ma va però affrontata con criteri di efficienza, evitando sia eccessi di generosità nelle concessioni, sia freni dannosi per l’industria.
I regimi delle tariffe e degli incentivi devono basarsi su meccanismi di mercato e su quadri regolatori chiari e affidabili, in modo che le imprese possano muoversi su percorsi certi e, al tempo stesso, l’onere che ricade in bolletta per questi incentivi sia sostenibile dai consumatori».
Fonte: SudMagazine
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Alessandra Camera
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