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La trama (con parole mie): Whip Whitaker è un pilota di linea esperto e di talento con un matrimonio fallito alle spalle, un figlio con il quale non parla ed un problema legato all'alcool. Dopo una nottata di baldoria con una delle sue hostess a suon di bevute e cocaina prende il comando di un aereo che da Orlando è diretto ad Atlanta: dopo aver superato indenne una pesante turbolenza, Whip riesce per miracolo ed abilità ad operare un atterraggio di emergenza causato da un malfunzionamento meccanico riuscendo a portare in salvo novantasei dei centodue passeggeri.Per i media è un eroe, ma le indagini indicano che il suo sangue presenta valori fuori norma, trasformandolo nel capro espiatorio più facile rispetto all'inchiesta che segue il disastro, legata ai risarcimenti alle vittime.Whip sarà costretto dunque ad affrontare i suoi demoni ed il suo passato per poter fare finalmente i conti con la vita ed i sensi di colpa che lo tormentano.
Ricordo quando, qualche anno fa - e non voglio sottolineare esattamente quanti - mi massacrai di visioni e lessi il romanzo - esattamente in quest'ordine - di Alta fedeltà, commedia romantica alternativa tutta giocata sull'amore del protagonista - e dell'autore - per la musica: proprio per bocca degli stessi si aveva l'occasione di scoprire che, nel pianificare una compilation - termine ormai quasi obsoleto e sostituito dal più freddo playlist - occorreva sparare cartucce di un certo carico in apertura ed in chiusura, lasciando i pezzi meno incisivi per la parte centrale.Senza dubbio Nick Hornby, John Cusack e Robert Zemeckis hanno in parte ragione, eppure ho sempre considerato un azzardo notevole quello di giocarsi le migliori risorse in apertura, rischiando di rimanere senza fiato proprio sul più bello, proprio come un pugile che parte forte sperando di mettere l'avversario al tappeto entro un paio di round e poi si ritrova a metà incontro con le gambe che cedono: Flight è proprio così.Nonostante, infatti, una sequenza iniziale da cardiopalma girata e giostrata alla grandissima - dall'apertura al momento dell'impatto dell'aereo si vive praticamente con il fiato della pellicola sul collo - ed un Denzellone nostro in forma smagliante - il suo balbettio e la resa splendida dei fantasmi della dipendenza sono da manuale -, il lavoro di Zemeckis manca senza dubbio della scintilla in grado di trasformare un'opera caruccia e guardabile in qualcosa di destinato davvero a restare nella memoria dello spettatore per qualcosa di diverso dalla perizia tecnica e dal sensazionalismo di una morale piuttosto spiccata.Certo, da bevitore di un certo livello potrò suonare campanilista e di parte nel criticare la storia di un protagonista senza dubbio nel torto rispetto alla condotta ma in grado di salvare come nessun altro le vite di novantasei passeggeri presentata come se fosse un esempio da mostrare nei circoli degli alcolisti anonimi e alla giuria dell'Academy o dei Festival più importanti giusto per darsi un tono da moralizzatori finti alternativi, eppure ho trovato impossibile non riconoscere l'evidente calo che lo script firmato da John Gatins - sceneggiatore specializzato in film formativi di ambito sportivo come Coach Carter e Real steel - manifesta dalla prima alla seconda parte del film, e che l'interpretazione indubbiamente maiuscola di Washington - come già giustamente sottolineato - non può sperare, da sola, di riuscire a compensare.Eppure le premesse per fare bene c'erano tutte, dal senso di disagio alla posizione dell'outsider, dal rapporto tra il ruolo di eroe - è indubbio che Whitaker sia il responsabile della salvezza dei novantasei superstiti dell'incidente - e quello di colpevole per la Legge - è altrettanto ovvio che il Capitano fosse completamente preda di alcool e droga prima, durante e dopo il volo -, dal confronto tra il protagonista e suo figlio ad una struttura da legal thriller mascherato da riscatto sociale, senza contare una possibile storia d'amore finita male in grado di rompere le consuetudini zuccherose del genere romantico e non solo.Ma l'impressione è che Zemeckis ed il suo staff non abbiano voluto affondare troppo sull'acceleratore per evitare di inimicarsi l'Academy così come i responsabili dei vari Festival nonchè del pubblico abituato ai blockbuster di grana grossa, finendo in questo modo di fatto per remare contro l'effettiva portata di un film che avrebbe senza dubbio potuto ambire a molto più di quanto non arrivi a portarsi a casa alla fine, troppo preso a non concedere troppo alla realtà di una vita che bastona senza ritegno e dalla volontà di fornire un lieto fine anche quando il lieto fine stesso risulta stonato e poco utile.Peccato, perchè vedere un regista - seppur artigiano - di grande capacità come Zemeckis svilirsi più di quanto non abbia già fatto per cercare di portarsi a casa un qualche riconoscimento è davvero desolante, almeno quanto il finale moralizzatore che, più che commuovere o far riflettere, finisce per risultare didascalico e da piedistallo.E qui da queste parti, è sempre meglio un talentuoso errore da sbronza che non un pentito dietrofront da Libro Cuore.
MrFord
"Picket lines and picket signs
don't punish me with brutality
talk to me, so you can see
oh, what's going on
what's going on
ya, what's going on
ah, what's going on."Marvin Gaye - "What's going on" -
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