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Folklore e folklorismo

Creato il 09 novembre 2022 da Indian

1 Ago 2016 @ 8:00 AM

Lezioni condivise 115 –  I fatti folklorici

Folklore e folklorismo sono due ambiti di ricerca differenti: i fatti folklorici sono fatti culturali, o meglio sono il ripudio degli esclusivismi culturali. Non esistono culture assolute ed eterne, qualunque cultura è un sistema in movimento. Ciò che appartiene alla propria cultura personale, locale, non per questo è fuori dalla cultura generale.

I fatti folklorici sono frutto di una vicenda storica, di lotte, di contrasti. La cultura contadina è una cultura nata e cresciuta distaccata dalla cultura egemone: non è così in realtà, ma è anche così, perché ci sono state culture dominanti in opposizione alle culture subalterne, quali quelle prodotte ad esempio dai barbari, dall’antifeudalesimo, dal brigantaggio, dalla questione meridionale…

Il movimento romantico fu un momento di stravolgimento di questo concetto. L’esaltazione romantica sta alla base del folklorismo deteriore, edulcorazione di una serie di manifestazioni che hanno una base storica, da loro non considerata, che chiamiamo folklore (o folclore).

Alberto Mario Cirese è stato uno dei maggiori antropologi italiani, ha affrontato questi argomenti in “Dislivelli di cultura e altri discorsi inattuali” e altre sue opere. Dal suo studio dei testi sul folklore di Antonio Gramsci nasce la Demologia, la scienza delle Tradizioni popolari.

Fondamentale è affrontare gli studi demologici senza prescindere dalla realtà socio culturale che si vive, quale che essa sia, pertanto con le ideologie che la animano, non certo per assecondarle se esse sono fallaci (Cultura egemonica e culture subalterne, 1973), ma per analizzarle. Sostanzialmente gli studi di Gramsci fanno emergere che la cultura della classe dominante, volente o nolente, deve fare i conti in ogni tempo con quella delle masse popolari, con risultati non necessariamente “illustri”, di dubbia identità (piene di contaminazioni), e qui Gramsci (concetto di egemonia) e Cirese stesso, individuano un elemento fondamentale della stessa lotta di classe: la cultura non è separata dalla società, ma è la vita della società. E’ Gramsci dunque a rilevare, in altri tempi e con i suoi mezzi, che la cultura egemone deve fare i conti con la cultura subalterna. Tuttavia Cirese tiene conto dei cultural studies, uno stadio successivo rispetto alla metodologia gramsciana. Ne sono stati artefici in epoca post coloniale Hall e Said, giamaicano l’uno, palestinese l’altro, che hanno agito in Inghilterra e negli USA, hanno sostanzialmente marcato la differenza tra ricerca ideale ed empirica. Anche Gramsci comunque parlava di unificazione del movimento pratico con quello teorico mediante il superamento delle opposizioni qualitative, come quelle tra egemonia e subalternità, tra cultura alta e cultura popolare, parlava di “filosofia della prassi”, che comprende il concetto della complementarietà tra “spontaneità” e “direzione consapevole”, folklore e cultura come concezione del mondo.

In questo contesto anche il canto popolare entra a far parte della letteratura e pertanto della cultura. A qualsiasi livello: da quello trasmesso per via orale, le stesse cantilene, nenie, prefiche, siano pure senza musica (solo perchè non attestata in tempi remoti), devono essere considerati alla stregua della poesia.

Mentre Cirese conduceva i suoi studi la società era in rapido movimento, a tratti non valeva più l’equivalenza tra cultura popolare e cultura rurale per l’evoluzione del rapporto città-campagna, insieme alle variabili etniche e migratorie.

Cirese è stato uno degli ultimi studiosi della poesia popolare, preceduto da Giovanni Battista Bronzini, lo stesso Pasolini, pochi tecnici e sociologi di stampo gramsciano.

Egli iniziò la sua carriera di docente universitario a Cagliari nel 1957 chiamato da prof. Petronio. In lui ebbe notevole influenza il Congresso nazionale delle tradizioni popolari tenutosi in Sardegna l’anno prima e a cui partecipò.

L’interesse per Gramsci da parte di Cirese avvenne prevalentemente negli anni sessanta; esaminò il concetto di cultura popolare espresso nei Quaderni dal carcere, lo studio del folklore come forma di cultura subalterna. In Gramsci trovava conferma la sua critica marxista, o tradizionalmente marxista, del “centralismo democratico” (di cui Gramsci aveva una particolare concezione, contrapponendolo al “centralismo burocratico”), nella misura in cui esso negava l’autonomia tra piano culturale e politico dei momenti anti-egemonici della cultura popolare. Così Cirese riuscì a legittimare lo status accademico delle discipline antropologiche, benché l’isolamento delle culture subalterne rispetto a quelle “egemoniche” non ne abbia consentito in pieno la circolazione nella società di massa.

Questo genere di studi, ispirati all’opera gramsciana (edita come “Osservazioni sul folklore”, 1950, estratto dai Quaderni) hanno avuto sviluppi nella filosofia politica latinoamericana, specie i concetti di “egemonia” e “folklore”, in particolare in Messico, proprio grazie ai seminari e ai dibattiti tenuti da Cirese peraltro con sviluppi culturali differenti rispetto a quelli italiani. Nel citato convegno in Sardegna, nella fattispecie a Nuoro, si discusse degli studi di Cirese su Gramsci del 1970, sulla base di spunti offerti sullo stesso tema da Giorgio Baratta (2008).

Cirese ha messo in evidenza due aspetti relativi alla riflessione gramsciana: l’esigenza del rispetto filologico del testo (“a testo laico, laica lettura”) e la necessità di svincolare il pensiero gramsciano dalla specifica dimensione politica e ideologica. Cirese interpretò Gramsci in modo neutro da eventuali giudizi politici sul folklore in positivo o in negativo.

Gramsci distingueva due tipi di cultura tra classi egemoni e subalterne, ognuna condizionata dalla propria partecipazione alla produzione, ripartizione, proprietà di beni materiali e spirituali.

La visione gramsciana del folclore era vista sia come elemento oggettivo scaturente dai “semplici”, ma in sede di analisi lo riconosceva come strumento delle classi subalterne, al momento non egemoni, che poteva rappresentare il seme di una nuova cultura per la produzione di contenuti utili al loro riscatto, dunque alla rivoluzione, al socialismo.

Bibliografia generale:
Alberto Mario Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, Palumbo (1971).
Alberto Mario Cirese, Gramsci e il folklore come concezione tradizionale delle classi subalterne, Problemi (1977).
Eric J. Leed, Per mare e per terra. Viaggi, missioni, spedizioni alla scoperta del mondo, Il mulino (1996).
Attilio Brilli, Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del gran tour. Il mulino (1995).
Enrica Delitala, Come fare ricerca sul campo. Esempi di inchiesta sulla cultura subalterna della Sardegna, Edes (1992).

(Storia delle tradizioni popolari – 11.12.1997) MP

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