Nulla è dimenticato, lo vedi negli occhi di un aquilano, non sono passati due anni per lui, è come se avesse le immagini scorrere nei suoi occhi mentre ti parla, e se non si distrae rischia di mettersi a piangere, ma un aquilano vero non piange, e allora si allontana e ricomincia a lavorare. Se vi venisse in mente di chiamarla rassegnazione vi fermo subito, perché se le tremila attività che sono crollate nel vero senso della parola fossero state realmente tutte rilocalizzate, non si parlerebbe affatto di città morente, ma di rinascita, solo che come al solito, se puoi con i tuoi mezzi riaprire il tuo negozio altrove va bene, ma se apetti il piano previsto dalle istituzioni puoi anche morire di fame. E allora non è rassegnazione, spostarsi, perdere il contatto con tutto quello che fino alle 3 e 32 del 6 aprile 2009 era il tuo piccolo mondo e la tua realtà quotidiana, non è rassegnazione voler cominciare altrove piuttosto che avere sotto gli occhi la tua casa devastata nella quale hai anche perso una persona cara, è semplicemente un tentativo di ricominciare a vivere, di non impazzire, di recuperare la forza di sorridere ancora.
Nel piano case in seguito al censimento del 2009 si sta cercando in ogni modo di eliminare soggetti non idonei, ovvero anziani, malati e disoccupati. Persone che non possono produrre è vero, ma persone che una casa l’avevano, e magari anche un’occupazione che ora non esiste più.
Se nel piano case si comincia fra mille problemi a ridare un tetto a molte persone, che comunque non hanno mezzi di sostentamento o servizi pubblici, a poco serve, se non si cerca di risollevare l’economia. Si ricostruisce lontano dal centro, anche presidi sanitari, e le fabbriche e le grandi aziende hanno chiuso, e riapriranno molto lontano da L’Aquila, le persone fortunate che avevano un lavoro e lo hanno mantenuto saranno costretti a pagare le tasse del 2008 e del 2009 anche se la produttività è stata ferma a 0 nel biennio, e questo è piuttosto strano se si pensa ai diversi trattamenti per Umbria e Marche quando hanno vissuto analoghe situazioni, ma ora c’è la crisi, i soldi non ci sono, e allora conviene vendere ad un privato che costruisce un residence di lusso, piuttosto che recuperare una struttura ospedaliera, e poco importa se le visite hanno attese di 7-8 mesi e chissà da fare dove. Poco importa se le Asl di L’Aquila e dintorni (tutte quelle in zona sismica) erano assicurate contro il terremoto e quindi hanno incassato, ma hanno pensato bene di ricostruire altrove non di salvare e rimettere apposto dove si era.
Le speculazioni sulla ricostruzione sono il coltello che sta aprendo il petto a questa città, imprenditori con le mani in pasta che ridevano nei loro letti la sera del terremoto (che schifo), come a dire che se non fai parte della “cricca” della protezione civile (non di tutta, ci sono un sacco di persone che aiutano e fanno del bene a chi ha bisogno), o se non sei amico di comanda la ricostruzione è impossibile che tu abbia l’appalto, anche se la zona da ricostruire è quella in cui sei nato e cresciuto, ed ecco quindi che spuntano progetti di costruzioni di Milano, Venezia ,Bologna e quant’altro, senza che gli aquilani ne siano al corrente, appalti facili e che poi di fatto restano fermi (il centro storico non ha visto iniziare i lavori, così come la maggior parte dei progetti approvati), ma di L’Aquila nessun progetto. E poi le imprese locali che hanno lavorato intensamente: ferramenta, artigiani, falegnami, costruttori, operai delle cave, che non sono mai state pagate per il lavoro svolto per ricostruire la propria città, o se sono state fortunate, pagate di meno e in ritardo.
Se la voce di chi cerca di resistere viene smorzata, se le forze di chi lavora vengono abbattute dalle tasse, se chi ha lavorato per ricostruire non viene sostentato, se chi aveva attività non viene rilocalizzato, se chi ha il potere di aiutare impone il suo guadagno personale, se chi vuole riprendere la vita e l’economia viene ostacolato, il risultato è solo uno, L’Aquila è destinata a morire.
di Cristian Amadei