Il mio odio verso i talent show credo sia un qualcosa di impossibile da quantificare - ho scritto persino un articolo per il sito del mio editore. Li trovo odiosi, insulsi e, soprattutto, diseducativi. Io sono sempre stato dell'idea che se si vuole emergere in un certo campo, ci vogliono innanzitutto esercizio, devozione, sacrificio e, soprattutto, gavetta. Bisogna iniziare dal proverbiale nulla, dare il meglio di sé e, col tempo, provare a emergere verso canali sempre più grandi. Nel mio piccolo io sto cercando di fare una cosa simile: sto pubblicando con degli editori indie, anche con la speranza di poter accedere un giorno a canali distributivi più grossi, ma per il momento credo che questo piccolo semi-anonimato possa andare benissimo. L'essere sovraesposti fin da subito, quando non si è ancora nessuno e, soprattutto, quando non si ha nulla da presentare, può portare più male che bene. Impedisce di formarsi, di sperimentare fin da subito i primi commenti negativi (e diciamolo, basta andare in televisione per essere ammirati da una sfilza di incompetenti), ottenendo quelli che possono essere i primi insegnamenti, fare i primi errori che se presi per il verso giusto possono fungere da veri maestri. Ecco perché maledico quella fiera della baracconaggine dei talent, che con la scusa di sfornare nuovi talenti (?!) hanno saputo solo togliere ulteriore visibilità a chi si dà veramente da fare, col vero sacrificio, dimostrando che la meritocrazia è solo e unicamente una pura illusione. E se pure Nolan, il regista vivente più celebrato del momento, ha dovuto iniziare dal nulla, allora la cosa vuol dire tutto.
Un giovane aspirante scrittore, per cercare di smuoversi dalla sua crisi creativa, decide di inseguire casualmente le persone, in modo che la loro vita possa fornirgli delle nuove idee. Un giorno però segue, scoperto, Cobb, un ladro che inizia a insegnargli i primi rudimenti della professione. Fino a che il giovane non si invaghisce di una donna, che...
Su Nolan se ne sono dette di tutti i colori. Alcuni lo considerano un genio indiscusso, altri un perfetto coglione. Io mi metto nel mio classico, comodo mezzo, che però stavolta scalcia un attimino verso la positività. Infatti non posso negare di aver amato gran parte dei suoi film, Memento e The prestige sopra tutti, e sono stato felicemente meravigliato dal suo chiacchieratissimo Il cavaliere oscuro. La prima mezza delusione, se così vogliamo chiamarla, è stata Inception, film molto bello ma che, per vari difetti macroscopici, non raggiunge quello status di grandezza che sembra ambire in ogni inquadratura. Poi vabbeh, c'è stato Rises - di Insomnia, in quanto remake, non ne parlo, al m(e)omento - e lì gran parte del danno era stato fatto, ma comunque era un film che poteva vantare una realizzazione da capogiro che molti film si sognano. Il verdetto è quindi quello di un regista dalle mille potenzialità, ma surclassato in certi casi dalla sua stessa ambizione. Ma comunque una persona di talento, checché se ne dica, perché fino ad ora non c'è stato un suo film che non mi abbia lasciato qualcosa. E lo stesso è stato per questo suo piccolo film, vero esordio dietro la macchina da presa, avvenuto quando aveva ventotto anni. E' una pellicola che usa una narrazione semplice, realizzata con pochissimi mezzi e con attori non professionisti, dando tutta quella magia che solo un certo tipo di film di genere girati in questa maniera sanno dare. Qui non ci sono esplosioni, mancano le ormai abituali musiche di Hans Zimmer e la fotografia è curata dallo stesso Nolan (così come il montaggio, l'editing e la produzione), non dal suo fidato Wally Pfister. Sembrerebbe che si sia messo a fare il Robert Rodriguez di turno, ma il tono che si sceglie è ben diverso, e traccerà un modus operandi che caratterizzerà tutta la futura produzione del regista. Si è molto seri e con dei personaggi a tratti un po' freddini, per scandire delle vicende che si avvicinano maggiormente al noir. Che poi tutti i film di Nolan, anche quelli dell'uomo pipistrello per cui è stato impunemente paragonato a Kubrick, sotto sotto sono dei noir. Solo che qui lo è esplicitamente, senza tanti problemi o giri di sorta, complice anche uno sporchissimo bianco e nero che nella sua grezza semplicità dà ancora più fascino a una pellicola che, magari con qualche spiccio e maturità in più, sarebbe potuta diventare un grande capolavoro. Ma rimane ugualmente un film solido, scritto molto bene e con un finale da urlo, anche se il costante abuso di sbalzi temporali può rendere difficile la visione allo spettatore più disattento. E' un film che parla della mania del narrare, di come alle volte possa diventare pericolosa come cosa perché, tanto per citare filosofi a caso,
«quando guardi dentro l'abisso, l'abisso scruta dentro di te». Il ladro Cobb - ironico che poi il futuro personaggio di DiCaprio, un ladro di sogni, abbia lo stesso nome, così, come è ironico che a un certo punto compaia su una porta lo stemma di Batman - per certi versi è l'abisso, quello che vorremmo essere se solo ne avessimo il coraggio o potessimo ambire a certe cose che i nostri limiti ci precludono. Il protagonista senza nome è un nulla, un qualcuno che vorrebbe essere uno scrittore, ma che si atteggia unicamente come tale, finendo a suo modo nella tragica storia che forse stava cercando di scrivere. E l'affacciarsi su di essa l'ha portato dinanzi al puro e assoluto disgregarsi della sua vita, come ci testimonia la bellissima ma inquietantissima immagine finale, che pone un fine a questa storia di torbide vicende, ma da inizio alla carriera di uno dei cineasti più discussi degli ultimi tempi.Io trovai il dvd (oramai introvabile, dato il fallimento della casa produttrice) in una bancarella dell'usato a Torino, pagandolo solo cinque euro. Oggi su Amazon viene valutato novanta euro. Molta gente mi odia per questo, ma con amore.Voto: ★★★½