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"fondata sul lavoro", la solitudine dell'articolo 1

Creato il 10 febbraio 2014 da Alessandro @AleTrasforini
Poche parole potrebbero essere più chiare di quelle contenute nell'Articolo 1 della Costituzione Italiana:
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione."
Cosa ne rimane dello Stato italiano se manca tutto ciò che ha a che fare con la parola lavoro?
Quali sono state le origini che hanno portato alla scelta di questo primo articolo come criterio fondante del testo che (dovrebbe) regola(re) da sempre il funzionamento dello Stato italiano?
L'importanza di domande come queste è chiara sin dall'anticipazione del breve testo "Fondata sul lavoro - La solitudine dell'articolo 1" scritto da Gustavo Zagrebelsky e pubblicato da Vele - Einaudi Editore:
"[...] Unico tra i diritti, il diritto al lavoro è esplicitamente enunciato tra i principi fondamentali della Costituzione.
La politica deve essere condizionata al lavoro e non il lavoro alla politica.
E' bene ribadirlo, oggi, mentre è in corso il rovesciamento di questo rapporto. [...]"
Il rovesciamento del rapporto fra lavoro e politica sembra essere infatti un punto (pur)troppo dolente di questi ultimi tempi: quanto hanno saputo "limare" al mondo del lavoro le decisioni assunte dalla politica e dalla tecnica a sua stretta dipendenza esecutiva?
Basti pensare, stando agli ultimi tempi, all'impatto avuto sull'economia reale di riforme troppo frettolosamente messe in campo, come quella delle pensioni passata alle cronache come legge Fornero: varata in tempi brevissimi per allontanare dall'Italia il rischio di un (ancora troppo) probabile default, ha lasciato in "eredità" al Paese la tragica situazione degli esodati.
Come poter discutere di una tematica terribilmente complessa come quella del lavoro, senza scindere da essa la correlata questione dei diritti?
In un momento socio-economico nel quale, nonostante i troppi appelli multiverso, il baratro non sembra essere ancora sufficientemente lontano, è lecito e doveroso interrogarsi su questioni simili.
Dalla tematica del lavoro dipendono e discendono una grandissima serie di argomenti, tutti essenziali per contribuire al futuro di uno Stato: stabilità economica, assenza di conflitti sociali, progresso ed incremento delle conoscenze solo per citarne alcuni dei possibili.
Nonostante le tragiche difficoltà contemporanee resta, per fortuna o purtroppo, un successivo articolo a garanzia e tutela (solo teoriche?) dell'uguaglianza su cui dovrebbe fondarsi uno Stato di diritto:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Tale contesto, richiamante l'Articolo 3 della Costituzione Italiana, dovrebbe prevedere la necessità di impostare ed attuare una serie di misure volte a ridurre e/o minimizzare le conseguenze negative attribuibili, da ultimo, alla crisi economico-finanziaria che sembra arrivare solo adesso ad un punto di "stallo".
In altre parole, per farla breve, sarebbe necessario adoperarsi al meglio per far sì che nessuno rimanga indietro.
L'argomento del lavoro è infatti strettamente correlato anche al pieno sviluppo della persona umana e all'effettiva partecipazione all'organizzazione politico-economica dello Stato.
Quanto tali tematiche siano tutte strettamente correlate ed intimamente importanti è cosa riportata nella presente opera dallo stesso autore Zagrebelsky:
"[...]basta aprire la nostra Costituzione all'Articolo 1 per vedere  quanto lungo sia stato il cammino [...] compiuto: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro."
A questo ha condotto l'ascesa delle masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica e l'accesso alle Istituzioni. In una parola, c'è stata la diffusione della democrazia, sia nella sua dimensione politica che in quella sociale. Il riconoscimento del lavoro come fondamento della "Res publica", cioè della cosa o della casa comune, significa compimento di un processo storico d'inclusione nella piena cittadinanza. [...]"
L'importanza dell'argomento lavoro è chiara sin dal primo momento, leggendo fra le pagine della Storia: da quando è stato possibile capire che tale parola era da porre al centro di ogni possibile agenda politico-programmatica?
"[...]La vigente Costituzione rappresenta un momento della lunga storia del costituzionalismo moderno, una storia che ha inizio con la Restaurazione liberale, dopo la Rivoluzione e l'età napoleonica.
L'ideale del costituzionalismo è senza tempo: istituzioni libere e garanzia dei diritti, con ciò che ne consegue: rappresentanza politica entro la separazione dei poteri, legalità e garanzia dei diritti, habeas corpus, tribunali indipendenti, libertà di stampa e libera formazione della pubblica opinione.
Ma la storia del costituzionalismo è fatta di sviluppi a partire da quel nucleo: acquisizioni e ampliamenti, frutti di aspirazioni intellettuali, quando esse siano divenute obiettivi di lotte sociali. [...]"
Le fatiche compiute per (provare a) collocare la parola lavoro al centro della Storia hanno prodotto rovesciamenti nella complessa tematica della res publica, perseguendo al contempo finalità positive e propositive:
"[...]Il riconoscimento del lavoro come fondamento della res publica, la cosa o la casa comune, significa compimento d'un processo storico di inclusione nella piena cittadinanza, durante il quale non si è verificato alcun ribaltamento dei rapporti di classe: inclusione non rivoluzionaria, conformemente alla logica dello sviluppo storico del costituzionalismo, una dottrina che aborre i rivolgimenti, mentre è aperta all'evoluzione per acquisizioni cumulative, cioè evoluzioni. [...]"
I giochi di equilibrismo tattico che hanno portato alla definizione della parola lavoro come pilastro dello Stato italiano hanno riguardato le più svariate e possibili argomentazioni: dalla Repubblica da affidare "alla classe lavoratrice" alla mancanza di equilibrio assegnata da regimi economici di tipo "collettivistico".
Il lavoro che appare nel precedentemente citato Articolo 1 risponde al concetto esplicato nel successivo Articolo 35 riportato nel seguito:
"La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero."
Si è quindi pervenuti alla nozione generale costituzionale della parola lavoro.
Dalla nozione generale si è successivamente pervenuti, per varietà ed inevitabile vastità di campi ed argomenti, alle molte nozioni particolari soggettive settorizzate sulla base delle situazioni e delle esigenze di tutela che ne derivano: sicurezza, dignità, salute, stabilità, retribuzione, [...].
Dalla disamina razionale e ragionata dell'opera è possibile concepire l'insieme di valori sia sociali che politici attribuibili all'argomento del lavoro, è possibile richiamarsi all'opportunità di definire qualitativamente quali "tipi" e "forme" di lavoro sia possibile costruire e strutturare per alimentare la "base viva" di uno Stato.
Le relazioni del mondo del lavoro dovranno successivamente essere opportunamente istituzionalizzate, al fine di poter introdurre alcuni elementi necessari a renderlo operativo nell'ambito di una società al tempo stesso civile e civilmente ordinata: sarà questo il caso del contesto richiamato dagli Articoli 39 e 40.
Si avrà, pertanto, la possibilità di affermare il campo del lavoro come un diritto costituzionalmente garantito e/o da garantire anche in condizione di crisi economica?
"[...]Il 'fondata sul lavoro' è dunque formula pregnante, nella quale convergono e si compongono i numerosi elementi della cosiddetta 'costituzione economica'. Si comprende [...] che tutto sarebbe stato vano se il lavoro, il bene-lavoro, non fosse un diritto e fosse invece una semplice eventualità, oppure una concessione, un favore da parte di chi può disporne. Come si potrebbe 'fondare la Repubblica' su un'eventualità, un favore e non su un diritto? [...]"
Da ultimo ma non in ordine di importanza, oltre alla tematica del lavoro come diritto, sembra opportuno ricordare alcuni rovesciamenti che questo argomento ha riscontrato, specialmente in anni di crisi:
  • capovolgimento n°1: problematica della decostruzione della parola lavoro, correlata al tracollo di cardini guida quali unitarietà e generalità;
  • capovolgimento n°2: squilibrio ormai manifesto (ed irrecuperabile?) nel rapporto fra economia reale ed economia fittizia, sotto totali controllo e subordinazione della parola mercati;
  • capovolgimento n°3: superamento del cortocircuito verificatosi fra campi quali lavoro, politiche del lavoro, procedure politiche ed economie da controllare;

Oltre rovesciamenti e capovolgimenti rimane, comunque, la necessità di fornire risposte concrete alle moltissime domande ed ai molti possibili bisogni della "base" italiana.
Quali piani per il lavoro sarebbe possibile mettere concretamente in campo, compatibilmente con la necessità di sforare gli ormai celebri (ed inutili?) conti in ordine?
Quali leve è possibile spingere per (ri)attivare un virtuoso rapporto fra economia reale ed economia fittizia?
L'equilibrio della triade economia, cultura e politica dovrebbe essere essenziale saldo, al fine di poter meglio delimitare criticamente metro e misura con cui (provare a) rilanciare una questione così tremenda e terribilmente complessa.
Fonte testo: "Fondata sul lavoro - La solitudine dell'Articolo 1", G.Zagrebelsky, Einaudi Editore


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