Gli anni Sessanta: anni di grande fermento e ripresa artistica. Di rinascita… Anni nei quali, come mi raccontava frequentemente mio padre, Emilio Tadini, era normale, per un artista, fare la fame insieme agli altri, confrontarsi, frequentare tutte le gallerie e le inaugurazioni. Al bar Jamaica (tra gli altri tipici luoghi di incontro), nella zona dell’Accademia di Belle Arti, si riuniva una vera “banda” di ragazzi affamati e con le facce intelligenti. Ragazzi che avevano vissuto la guerra, il fascismo, i bombardamenti. Non di rado, qualcuno di loro si presentava con una macchia di unto sulla cravatta per fare colpo su una donna. La macchia era “finta”. Serviva a esibire la possibilità di un pasto abbondante che, nella realtà, non poteva essere stato consumato. Tra i ragazzi c’era anche un certo Dario Fo. Dario teneva sveglia la banda fino alle cinque del mattino. Ci riusciva con le parole e la lingua “sua”. Con i primi vagiti di un figlio “Nobel per la letteratura”: Mistero Buffo. C’era divertimento in quelle nottate: ci pensate? Riflettete a quanta voglia ci sia ancora, sotto. Sotto abiti firmati, sotto telefonini e telefononi, sotto quasi tutto. Penso che ci sia desiderio, sotto, di buttare qualcosa sottosopra. Di percorrere nuovamente quella strada. Di trovare cultura nella solidarietà umana. Intellettuale.
Qui di seguito, oltre a citare la grande esposizione che è già in corso, a Roma, e al titolo di Repubblica, riporto un testo di Emilio Tadini, “L’autenticità di Schifano” (in “Successo”, febbraio 1966, a. VIII, n. 2, pag. 105) che trovo interessante e utile a evidenziare quanto quegli anni Sessanta fossero “belli”, in una parola. Un artista scrive di un altro artista. ….e si scambiavano continuamente opere tra loro, i pittori e gli scultori! E ci credevano! E le gallerie erano piene zeppe di gente che discuteva animatamente…. C’è bisogno di un altro Sessantotto per produrre quel “clima”? E’ sufficiente che cambi governo? Sarà abbastanza, un sindaco nuovo? C’è la crisi? Quando finiremo le lacrime tornerà il sole? (Si chiede questo proprio il sottoscritto Francesco Tadini …che ha voglia di cambiare molte cose, per il futuro …ma per chi vuol saperne di più c’è un altro Blog: al link FRIPLOT )
Come potete leggere al sito ufficiale della mostra: La mostra “Gli irripetibili anni ‘60. Un dialogo tra Roma e Milano” intende raccontare il ruolo fondamentale delle interazioni culturali tra Roma e Milano tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, individuando in esse l’epicentro creativo delle nuove sperimentazioni e ricerche al di là dell’arte codificata. L’esposizione, a cura di Luca Massimo Barbero, sarà al Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, dal 10 maggio al 31 luglio 2011 e successivamente si trasferirà a Milano dal 7 settembre al 20 novembre 2011 negli spazi espositivi di Palazzo Reale.
Fontana e Burri, Schifano e Tadini
la rivoluzione dell’arte-spettacolo
Dal 10 maggio al 31 luglio centosettanta opere al Museo Fondazione Roma (link all’articolo on-line) …
“Oltre centosettanta opere testimoniano le personalità che hanno animato le due città, in bilico tra l’eredità più dissacrante delle avanguardie e l’anticipazione delle ricerche concettuali, passando dalla provocazione della “tabula rasa” del monocromo al virtuosismo optical e cinetico, fino alla Pop Art. Un’arte-spettacolo che trovò in alcune gallerie “illuminate” il loro vitale palcoscenico”
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Emilio Tadini, L’autenticità di Schifano, in “Successo”, febbraio 1966, a. VIII, n. 2, pag. 105
Anche nel campo della pittura, le idee, e le immagini, circolano oggi molto rapidamente. È un giro che qualche volta diventa addirittura vertiginoso. Gli effetti di una “esplosione” che può avere luogo, ad esempio, a Nuova York o a Londra, vengono registrati immediatamente a Parigi, o a Roma, o a Milano. Ci sono le mostre, le fotografie, i servizi sulle riviste specializzate e poi persino sui rotocalchi. E questo tumultuoso fluire dell’informazione porta indubbiamente a tutta una serie di conseguenze, contribuisce alla formazione, dovunque, di una situazione particolare. Non mi sembra proprio che sia il caso di deprecare questo stato di cose, di dire che in sostanza tutto ciò causa soltanto una più rigogliosa produzione aridamente manieristica. Prima di tutto il fenomeno, come qualità, non è affatto nuovo. Basta sfogliare qualsiasi storia dell’arte per rendersi conto dell’importanza che in ogni tempo ha avuto la rapida circolazione delle idee, della vivacissima disponibilità ad ogni autentica invenzione sempre dimostrata dagli artisti. Tutta l’arte europea si è fatta e sviluppata in un contesto di scambi, di acquisizioni, di relazioni ininterrotte. Gli scambi tra i diversi ambienti in realtà esistono. I loro frutti sono visibili nelle opere di ogni giovane artista di un certo valore. Naturalmente anche nelle opere dei giovani artisti italiani. Ed è giusto che sia così. A questo punto, però, si fa molte volte un errore critico piuttosto grave. Ci si limita cioè a rintracciare furbescamente le “fonti” e le si dichiara quasi con l’aria di accusare l’artista di essere solo un imitatore: quando non si parla addirittura e sbrigativamente di manierismo, di frettolosi tentativi di adeguarsi a una moda. Certo, ci sono pittori e scultori giovani che commettono queste colpe: ma sono gli stessi che in un’altra situazione avrebbero ripetuto manieristicamente un vecchio canone provinciale. Per i migliori bisogna per forza fare un discorso diverso. Bisogna riconoscere loro il pieno diritto di assimilare le esperienze nuove, prima di tutto. E poi bisogna essere capaci di mettere in luce i casi in cui un artista sa assumere una serie di valori espressivi attuali e sa organizzarli in una struttura personale – e magari sa addirittura elaborare una serie di valori nuovi, tali magari da potere di pieno diritto essere reinseriti in quella vasta circolazione di idee e di forma di cui abbiamo parlato all’inizio, per agire a loro volta in un contesto più ampio. Mi sembra che sia nella pittura di Mario Schifano (che ha recentemente esposto alla “Odyssia” di Roma e al nuovo “Studio Marconi” di Milano) si realizzi proprio una situazione di questo genere. Una certa esperienza americana – vissuta d’altra parte anche direttamente da questo pittore – è stata certo molto importante per la formazione del primo periodo della sua pittura. Ma nei quadri più recenti, e in questi esposti a Roma e a Milano, Schifano ha dimostrato di possedere un linguaggio del tutto personale, e di sapere organizzare strutture narrative e liriche direttamente riferite ad una situazione ben precisa. L’immediato clamore visivo di certa arte “pop” non ha più nessuna conseguenza manieristica, in questi quadri. Qui c’è la ricerca di una oggettività limpida, che sia convincente e inquietante esattamente nello stesso momento. Certi elementi fanno pensare addirittura a un ricupero attivo e vitalissimo di quella simultaneità e di quel dinamismo che furono portati nella pittura contemporanea dal futurismo italiano. E l’autenticità della pittura di Schifano la possiamo verificare poi nella immediatezza e nella vivacità con cui ci si rivela in queste tele il tono particolarissimo della sua “natura” di pittore: sostanzialmente in quella alternativa di fervorosa invenzione ottica e di liberi abbandoni lirici, di ironia a di emozione, di secchezza e di fervorosa partecipazione all’effusione intima dell’immagine. La coscienza di una nuova ottica, assolutamente attuale, non rischia insomma di irrigidirsi qui in una proposta sommaria, ma si concretizza di continuo in una nuova disponibilità del sentimento, nella vivacità di nuove reazioni intellettuali. Ed è proprio su queste basi che Schifano può moltiplicare le sue invenzioni.
* In questo Blog di Francesco Tadini – che cura l’intero Archivio Eredi Tadini – verranno create delle pagine Opere e Testi che conterranno anche inediti di Emilio Tadini.