Continua da For the Win, parte 1, scena 9
Questa scena è dedicata all’Anderson’s Bookshops, la leggendaria libreria per bambini di Chicago. Anderson’s è una vecchia, vecchia, impresa a direzione familiare, che è iniziata come una antica drogheria che teneva qualche libro su uno scaffale. Oggi è un fiorente impero dei libri per ragazzi, con diverse filiali e alcune pratiche di vendita incredibilmente innovative che fanno incontrare bambini e libri in maniere veramente emozionanti. La migliore fra queste sono le fiere del libro mobili, in cui spediscono enormi librerie già riempite di meravigliosi libri per bambini, dritte alle scuole su dei camion — voilà, fiera del libro istantanea!
Anderson’s Bookshops: 123 West Jefferson, Naperville, IL 60540 USA +1 630 355 2665
L’automobile che si era schiantata contro la macchina del padre di Wei-Dong era guidata da un inglese estremamente esasperato, grasso e calvo, con due bambini arrabbiati nei sedili posteriori e una moglie arrabbiata nel sedile davanti.
Stava fermamente, quietamente, lanciando improperi in inglese, cosa molto simile al farlo in americano, ma dicendo molto più frequentemente “bloody”. Andava avanti e indietro sul viottolo laterale accanto alla Huawei distrutta, con la moglie che lo chiamava da dentro l’auto dicendogli di rientrare “in the bloody car, Ronald”, ma Ronald non la stava minimamente ascoltando.
Wei-Dong si sedette sulla striscia d’erba fra la strada per le macchine e il viottolo laterale, stordito nel sole di mezzogiorno, aspettando che la vista smettesse di ondeggiare. Benny era seduto accanto a lui, tenendo un kleenex appallottolato per tamponare il sangue che usciva dal naso rotto sbattendo contro il cruscotto. Wei-Dong portò di nuovo le mani alla fronte per tastare il bernoccolo. Le sue mani puzzavano di plastica nuova, l’odore dell’airbag dal quale aveva dovuto liberarsi per uscire.
L’uomo grasso gli si accucciò accanto. “Cristo, figliolo, sembra che tu sia stato in guerra. Ma starai bene, vero? Avrebbe potuto andare peggio.”
“Signore”, disse Benny Rosenberg con una voce tranquilla smorzata dal fazzoletto. “La prego di lasciarci da soli. Quando arriverà la polizia, potremmo tutti parlare, d’accordo?”
“Certo, certo” I suoi figli stavano urlando ora, gridando dai sedili posteriori qualcosa sull’andare a Disneyland, quando sarebbero andati a Disneyland? “Tacete, mostri” ruggì lui. Il suono fece indietreggiare Wei-Dong. Barcollò.
“Siediti Leonard”, disse suo padre, “Non saresti dovuto uscire dalla macchina e sicuramente non dovresti stare camminando adesso. Potresti avere una concussione o un danno alla spina dorsale. Siediti”, ripeté, ma Wei-Dong aveva bisogno di allontanarsi dal prato, aveva bisogno di scacciare via la nausea camminando.
Uh-oh. Riuscì a stento ad arrivare fino alla fine dell’aiuola, aggrappandosi con le mani al retro accartocciato e sfaldato della macchina, prima di iniziare a rigettare, un geyser di cibo mezzo digerito che volò dritto fuori dal suo intestino e volò sopra tutto il relitto della macchina. Un momento dopo le mani di suo padre erano sulle sue spalle, aiutandolo a sorreggersi. Rabbiosamente se le scrollò di dosso.
Adesso si sentiva il suono di alcune sirene avvicinarsi, e l’uomo grasso stava parlando fitto fitto al vecchio Benny, ma a voce abbastanza bassa che Wei-Dong riuscì a sentire solo alcune parole — assicurazione, colpa, vacanza — tutte in un tono carezzevole. Suo padre continuava a cercare di dire qualcosa, ma l’uomo non gliene dava tempo. Wei-Dong avrebbe potuto dirgli che non era una buona strategia. Niente poteva fare esplodere il Vulcano Benny con più certezza che quel comportamento. Ed infatti successe.
“Chiudi la tua bocca per un secondo, capito? CHIUDILA”
L’urlo fu così forte che persino i ragazzini sul sedile posteriore si zittirono.
“TU CI HAI COLPITO, dannato idiota! Non faremmo a metà sui danni. Non ci accorderemo per del denaro. Non me ne importa niente del jetlag, non me ne importa niente, se non hai comprato l’assicurazione aggiuntiva per la tua auto in affitto, non me ne importa niente se questo rovinerà la tua vacanza. Avresti potuto ucciderci, lo capisci, imbecille?”
L’uomo alzò le mani e si rattrappì dietro di esse “Eri parcheggiato in mezzo alla strada” disse, con una nota di supplica nella sua voce.
Tutti li stavano guardando, i bambini e la moglie del tipo, i curiosi che rallentavano per vedere l’incidente. I due uomini erano completamente focalizzati l’uno sull’altro.
In altre parole, nessuno stava guardando Wei-Dong.
Pensò al rumore che aveva fatto la sua cuffia, schiacciata sotto il tacco rinforzato del padre, sentì le sirene avvicinarsi e…
Lui…
Se ne andò.
Si incamminò furtivamente verso gli arbusti che circondavano un mini-mall e una pompa di benzina, con noncuranza, afferrando il suo zainetto scolastico, come se volesse solo recuperare le sue cose, ma era in realtà diretto verso un’apertura nella siepe, attraverso la quale passava a mala pena. Attraversò il parcheggio del mini-mall, pieno di negozi che vendevano magliette da tre dollari, palle di neve (quelle di vetro o plastica da cui scende la neve finta quando le agiti) e grosse bottiglie di acqua filtrata. Da questo lato della siepe il mondo era normale e occupato, pieno di turisti diretti verso, o provenienti da, Disneyland.
Mantenne il passo, evitando di guardare verso i negozi e le telecamere a circuito chiuso al loro esterno. Frugò nelle tasche, sentendo al tatto i pochi dollari che aveva lì. Doveva andarsene lontano, molto lontano, velocemente, o non sarebbe riuscito a farcela.
Ed ecco arrivare la sua salvezza, l’autobus turistico che girava per le strette del Anaheim Resort District, portando la gente dagli alberghi e dai ristoranti ai parchi, affollato di bambini riempiti di zuccheri e congressisti con tessere di riconoscimento appese al collo, e stava spingendosi verso la fermata a poche decine di metri di distanza. Iniziò a correre, barcollò per il dolore che si diffuse attraverso la sua testa come un fulmine, decise infine di camminare il più in fretta che potesse. Le sirene della polizia erano molto, molto forti adesso, proprio al di là della siepe e quando fu quasi all’autobus sentì la voce di suo padre, che lo chiamava. Ora era all’autobus e…
… il suo piede poggiò sul primo scalino, l’altro piede lo seguì e l’autista impaziente chiuse le porte dietro di lui e mollò il freno, che fece un grosso singhiozzo mentre l’autobus barcollava in avanti.
“Wei-Dong Rosenberg”, sussurrò a se stesso “sei appena sfuggito al rapimento da parte dei tuoi genitori per mandarti ad una scuola militare, cosa farai adesso?”, ghignò: “andrò a Disneyland!”
L’autobus andò giù per Katella, diretto verso l’entrata degli autobus, e lì scaricò il suo carico di turisti frenetici. Wei-Dong si mischiò ad essi, invisibile nella massa di umanità che superava gli enormi portali tinti nei colori primari. Stava andando col pilota automatico, e rimase col pilota automatico mentre si toglieva lo zainetto scolastico per lasciare che l’uomo della sicurezza lo controllasse.
Aveva avuto un pass annuale per Disneyland fin da quando era stato abbastanza grande per prendere un autobus. Tutti i ragazzi che conosceva ne avevano uno a loro volta — era meglio che andare per negozi dopo scuola e, anche se dopo un po’ diventava noioso, non riusciva a pensare ad un posto migliore in cui scomparire mentre pensava alla prossima mossa.
Camminò lungo la Main Street, andando verso il piccolo castello rosa in fondo alla strada. Sapeva che c’erano delle panchine piuttosto appartate nelle stradine intorno al castello, posti dove avrebbe potuto sedersi e mettersi a pensare. Si sentiva come se la sua testa fosse stata piena di ovatta.
La prima cosa che fece dopo essersi seduto fu controllare il suo telefono. La suoneria era spenta — regolamento scolastico — ma lo aveva sentito vibrare in continuazione nella sua tasca. Quindici chiamate perse da parte di suo padre. Chiamò la segreteria telefonica e sentì suo padre sbraitare di tornare indietro in questo istante e le cose terribili che gli sarebbero successe se non lo avesse fatto.
“Ragazzo, qualsiasi cosa tu stia pensando di fare, ti sbagli. Prima o poi tornerai a casa. Prima succede, meno problemi avremo tutti. E più aspetti — ascoltami, Leonard — più aspetti, peggio andranno le cose. Ci sono cose peggiori della scuola in cui ti stiamo mandando, ragazzo. Molto, molto peggiori.”
Ascoltando questo, Wei-Dong fissava il cielo. Di colpo, lasciò cadere il telefono come se stesse bruciando.
C’era un modulo GPS nel telefono. Usavano sempre i telefoni per trovare i fuggitivi, i criminali e gli autostoppisti scomparsi. Prese il telefono da terra e ne aprì il retro per estrarre la batteria, che mise nella tasca della giacca. Poi mise il telefono nella tasca dei pantaloni. Non era un granché, come fuggitivo.
La polizia era diretta verso il punto dove c’era stato l’incidente quando lui se ne era andato. Erano arrivati solo pochi minuti più tardi. Il suo vecchio aveva deciso che era fuggito, quindi doveva averlo detto alla polizia. Era un minorenne, stava saltando la scuola, aveva appena avuto un incidente in macchina e, diavolo, ammettiamolo, la sua famiglia era ricca. Questo voleva dire che la polizia avrebbe prestato attenzione a suo padre, il che voleva dire che avrebbero fatto tutto il possibile per trovarlo. Se non avevano ancora scoperto dove era il suo cellulare, lo avrebbero saputo abbastanza presto — avrebbero guardato i tabulati e scoperto che aveva chiamato la sua segreteria telefonica da Disneyland.
Iniziò a muoversi, facendosi strada in mezzo alla folla, diretto di nuovo alla Main Street. Schivò un Barbershop Quartet[4] e si accorse di essere davanti ad un Bancomat. Avrebbero bloccato la sua carta da un momento all’altro — o, se erano furbi, l’avrebbero lasciata funzionante e avrebbero controllato da dove effettuava i prelievi. Aveva bisogno di denaro contante. Aspettò mentre un paio di turisti tedeschi usavano impacciatamene la macchina, poi ci inserì la sua carta e ritirò 500$, il prelievo massimo concesso dalla macchina. Prese altri 500$, sempre più conscio della mazzetta di banconote da venti ormai spessa qualche centimetro che aveva in mano. Provò a fare un terzo prelievo, ma il bancomat gli disse che aveva raggiunto il suo limite giornaliero. Non pensava di avere in banca molto più di 1.000$, in ogni caso — si trattava di diversi anni di regali di compleanno, più qualcosina guadagnata durante l’estate in un negozio cinese di assistenza tecnica per computer in un mini-mall di Irvine.
Infilò il fascio di banconote in tasca e uscì dal parco, senza perdere tempo a farsi mettere il timbrino alla mano. Iniziò ad andare verso la strada, ma poi si girò e andò in direzione opposta, verso il complesso commerciale di Downtown Disney e gli hotel che erano lì. C’erano degli autobus economici che andavano da lì a Los Angeles, giù a San Diego e a tutti gli aeroporti. Era il modo più facile ed economico per andarsene.
L’ingresso del Grand Californian Hotel si elevava fino ad altezze inimmaginabili, con giganteschi raggi che si incrociavano attraverso lo spazio cavernoso. A Wei-Dong quel posto era sempre piaciuto. Sembrava così artefatto, come un luogo immaginario, con gli intricati intarsi in marmo del pavimento, le vetrate colorate alte tre metri che formavano le porte scorrevoli, la tappezzeria ricamata dei sofà. Ora, però, voleva soltanto attraversarlo e salire su un autobus diretto a…
Dove?
A qualsiasi posto.
Non sapeva cosa avrebbe fatto adesso, ma sapeva una cosa: non sarebbe finito in una scuola per gente rovinata, cacciato fuori da Internet, cacciato fuori dai giochi. Suo padre non avrebbe permesso a nessuno di fare a lui qualcosa del genere, qualsiasi fosse il suo problema. Il suo vecchio non avrebbe permesso a nessuno di fargli una cosa simile.
Sua madre si sarebbe preoccupata — ma si preoccupava sempre, giusto? Le avrebbe mandato un’e-mail una volta che avesse raggiunto un qualche posto, un e-mail ogni giorno, per farle sapere che stava bene. Lei era brava con lui. Diavolo, anche il suo vecchio era bravo con lui, se si arrivava a questo. Il più delle volte. Ma ora aveva diciassette anni, non era più un ragazzino, non era un giocattolo rotto che si potesse mandare a riparare.
L’autobus successivo andava al LAX, l’aeroporto internazionale di Los Angeles, e quello successivo all’aeroporto di Santa Monica. Wei-Dong decise che andare al LAX era la cosa giusta da fare. Non per salire su un aereo — se suo padre aveva chiamato la polizia, era certo che avrebbero controllato in qualche modo la vendita dei biglietti. Non sapeva esattamente come funzionava, ma sapeva bene come funzionavano i colli di bottiglia, grazie ai giochi. In questo momento, poteva essere in qualsiasi punto di Los Angeles, il che voleva dire che avrebbero dovuto fare uno sforzo gigantesco per trovarlo. Ma se cercava di andarsene con l’aereo, ci sarebbero stati molti meno posti in cui dovevano controllare per catturarlo — gli sportelli delle compagnie aeree in quattro o cinque aeroporti in città — e quello era molto più semplice.
Ma dal LAX partivano anche autobus economici che andavano in tutta Los Angeles, autobus che andavano ad ogni hotel e quartiere. Ci sarebbe voluto molto, certo — un’ora e mezza da Disneyland al LAX, un’altra ora o due per tornare a Los Angeles, ma andava bene. Aveva bisogno di tempo — tempo per capire cosa fare.
Perché per essere completamente onesto con se stesso, doveva ammettere che non ne aveva la minima idea.