Da Bruxelles giungono normative che cercano di conciliare le esigenze dei produttori con la protezione dei consumatori e dell’ambiente. Ma non tutto appare scontato. I dubbi del settore agroalimentare italiano
Pioggia di normative dai cieli europei. Il settore agroalimentare e agricolo in bilico tra la tutela delle peculiarità territoriali dei prodotti italiani e l’obbligo di adeguamento ai provvedimenti di Bruxelles sulla libera circolazione delle merci. In questo contesto sono i piccoli produttori e imprenditori italiani a irrigidirsi di fronte alla legislazione europea, nonostante occorra riconoscere che anche il Belpaese sia sostenuto con finanziamenti nell’ambito della Politica agricola comune. Le opposizioni italiane alle norme Ue su questo tema talvolta non prendono in considerazione che, di fatto, le istituzioni europee intervengono con nuove misure laddove è loro richiesto dalle competenze definite dai Trattati comunitari. La partita si gioca in questa fase soprattutto su tre fronti “caldi”: da un lato quello degli ingredienti alimentari, dall’altro quello sull’etichettatura delle merci e infine quello della formazione obbligatoria per i micro-imprenditori e piccoli produttori agricoli. Tanti sono i provvedimenti al centro del dibattito, che inevitabilmente potrebbero incidere sulla quotidianità di persone.
Formaggi senza latte. Il caso più eclatante e recente è quello dei formaggi composti da latte in polvere che ha scatenato le proteste di associazioni di categoria e singoli caseifici italiani. Dura reazione alla decisione dell’Unione europea che al posto del latte consentirebbe di incorporare anche polvere di caseina e caseinati nei formaggi fusi. L’Italia, come tutti gli altri Paesi, presto si dovrà adeguare alla normativa, ma la decisione per il momento è solo rinviata con una proroga, fino al 29 settembre, termine ultimo per poter rispondere alla lettera nella quale l’Ue invita il nostro Paese ad adeguarsi. Al tempo stesso, alcuni imprenditori, produttori e l’associazione di categoria Coldiretti, rivendicano l’autenticità e l’unicità dei prodotti italiani e la necessità di mantenere intatta quella legge, che dal 1974 vieta l’utilizzo di polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici.
Si torna a studiare. A partire dal 26 novembre chi vorrà acquistare ed impiegare i fitosanitari ad uso professionale e destinati a proteggere i prodotti vegetali delle proprie coltivazioni in campagna (ad esempio anti-parassitari, fitoregolatori, antigermoglianti, diserbanti) dovrà essere in possesso di un apposito patentino, che di fatto diventerà obbligatorio e si assegnerà solo dopo aver frequentato un corso di formazione e sostenuto un esame. Gli agricoltori, i loro dipendenti e coloro che si occupano di verde pubblico, saranno obbligati a dotarsi di questa autorizzazione come conseguenza dell’adeguamento alle normative europee. Insieme a chi la professione dell’agricoltore la esercita in maniera esclusiva, a dover rispettare la normativa anche coloro che per hobby, o per un uso limitato al proprio terreno, hanno necessità di tutelare le piante. Per loro saranno accessibili solo prodotti non professionali, oppure potranno fare ricorso a chi sarà in possesso del patentino. In tanti si stanno adeguando e qualcuno, nonostante l’età, sta tornerà tra “i banchi di scuola”.
La guerra delle etichette. Altra polemica che infuria nell’Ue da qualche anno è quella dei prodotti con nome ed etichettatura simile. Emblematica la vicenda sul nome del Prosecco nostrano, che nel 2013 è entrato in competizione con l’emergente vino da dessert croato “Prošek”, sfruttando il nome del Paese che ha dato i natali alla nota bevanda, nella sua versione slovena. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la vicenda riguardante le imitazioni “low cost” del Parmigiano reggiano e del Grana Padano. I cosiddetti “similgrana” realizzati fuori dall’Italia senza alcuna indicazione della provenienza e con nomi di fantasia, per le associazioni di categoria ingannerebbero i consumatori sulla loro reale origine. “Una mozzarella su quattro in vendita in Italia – precisa la Coldiretti – è stata ottenuta con semilavorati industriali, chiamati cagliate, che vengono dall’estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea”. Ha fatto parlare di sé anche la decisione di aprire i propri mercati al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao. Stesso discorso vale per le vongole dell’Adriatico: l’Europa ha stabilito che non si possono raccogliere e commerciare le vongole con diametro inferiore a 25 millimetri. Quelle saporite del tipo Chamelea gallina, negli ultimi tempi, per il variare delle condizioni marine e la riduzione della salinità nell’acqua, raggiungono a fatica quella misura con la conseguenza che molte imbarcazioni del comparto marittimo rimangono ferme. Tutte normative che nella complessità dei 28 stati membri puntano a mettere nelle stesse condizioni di partenza le imprese, evitando i far west del mercato per un ottimale equilibrio tra tutela del consumatore, tutela ambientale e dell’imprenditoria europea. Talvolta però, viste dall’Italia, alcune prese di posizione Ue possono apparire controverse.
Tamara Ciarrocchi e Matteo Cinalli
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