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Formazione animatori: animazione e fede

Creato il 21 maggio 2014 da Tgs Eurogroup @tgseurogroup

Terzo e ultimo articolo di Mario Pollo estratto dalla rivista “Note di Pastorale Giovanile” per la nostra rubrica “Formazione animatori”. Oggi si parla del rapporto tra animazione e fede.

animatore - work in progress

Il progetto dell’animazione culturale si rapporta alla fede cristiana in due modi di cui uno implicito e l’altro esplicito.

Il modo implicito è quello che deriva all’animazione dai suoi obiettivi educativi, dal suo metodo particolare per perseguirli e, quindi, dal suo modo di pensare l’uomo e la vita.
Infatti la concezione dell’uomo e della vita che l’animazione propone ha il suo fondamento in un sistema di valori che è quello che il Cristo e la sua chiesa  hanno donato allo spazio ed al tempo della storia umana.
In conseguenza di questa opzione di fondo gli obiettivi dell’animazione sono volti  a fornire un aiuto ai giovani a realizzare un modello d’uomo in grado sia di abitare in modo efficace e creativo il tempo e lo spazio della storia nella quale vivono, sia di testimoniare che Cristo è il Signore della vita che ricapitola in  sè ogni modello evoluto e compiuto di realizzazione umana.
Lo stesso metodo dell’animazione, centrato sul gruppo, assume come luogo formativo non il singolo individuo ma quella comunità alla quale Gesù, nella preghiera, assicura la sua presenza.

Il modo esplicito dell’animazione di rapportarsi alla fede nasce dalla sua dichiarazione che il senso e la coerenza di ogni progetto educativo è dato esclusivamente dal suo orientarsi verso un Altro, radicalmente trascendente la sfera della vita umana e del suo mondo, il cui mistero è reso vicino dall’evento dell’incarnazione di Gesù.
L’animazione culturale crede e dichiara, infatti, che nessun progetto educativo, nessun modello d’uomo ha senso e può essere detto coerente se non è letto e interpretato alla luce della fede.
Per questo motivo l’animazione culturale, pur essendo solo un modello educativo, è congruente con una proposta di educazione alla fede che persegua l’obiettivo dell’integrazione fede e vita.
L’animazione non è da sola educazione alla fede ma tende alla realizzazione di persone umane in grado di accogliere nella loro vita la proposta della fede e, quindi, è pienamente utilizzabile all’interno di un itinerario di educazione alla fede e di evangelizzazione.
Si può dire, anzi, che l’animazione copre l’itinerario dell’educazione alla fede che va dal primo passo, quello dell’accoglienza delle domande dei giovani, sino al penultimo passo, quello dell’invocazione lanciata al trascendente. E, qui l’animazione si ferma, in quanto i modi e le forme dell’annuncio appartengono al dominio dell’evangelizzazione ed ai metodi catechistici e pastorali che lo supportano.
L’animazione, quindi, copre gran parte di un itinerario di educazione alla fede come quello proposto, ad esempio, da Riccardo Tonelli nel suo libro “Itinerari per l’educazione dei giovani alla fede” (LDC Torino Leumann, 1989).
Per questo motivo l’animazione culturale pur non essendo un itinerario di educazione alla fede può essere utilizzata per coprire gran parte di questo itinerario.
A questo punto è forse utile ricordare che l’obiettivo dell’animazione, che consiste “nell’abilitare il giovane a costruire se stesso all’interno dell’avventura di senso che, dall’origine dell’uomo, percorre senza posa il mondo”, si articola in tre aree strategiche:

  • area dell’identità personale;
  • area della partecipazione solidale alla vita sociale;
  • area dell’invocazione alla trascendenza.

Queste tre aree possono essere considerate le tre tappe fondamentali dell’itinerario di educazione dei giovani alla fede.

LA CONQUISTA DELL’IDENTITÀ PERSONALE

La prima di queste aree comprende le azioni che mirano ad aiutare il giovane, in un tempo di complessità sociale e di frammentazione, a costruirsi un’identità personale che sfugga sia alla soggettività ed alla debolezza costitutiva che attanaglia la maggior parte dei modelli di identità proposti alle giovani generazioni odierne, sia alle proposte contenute nei modelli sedicenti forti che vengono proposti da alcune associazioni, gruppi o semplici educatori.
Per quanto riguarda l’identità debole è necessario sottolineare che nel labirinto della complessità sociale il non avere una identità stabile, coerente e unitaria è ritenuto normale. Il modello di identità della società complessa, infatti, è quello di una identità frammentata, composita, in continua evoluzione, ambivalente, contraddittoria e mai compiutamente raggiunta. Questo tipo di identità è teorizzato sia a livello filosofico che sociologico.
Nel rapporto con la realtà esterna si tenta di accreditare, in coerenza con il concetto di identità debole, l’impossibilità di comprendere e di dominare efficacemente la realtà. L’unica modo possibile per l’abitante delle società complesse di porsi nei confronti della realtà è quello di chi tace e se formula una domanda non pretende risposta.
A fronte di questa realtà sociale l’animazione propone al giovane un cammino che muovendo dall’accettazione della propria finitudine lo conduce a radicarsi, criticamente, nello spazio tempo della propria cultura, a strutturare un linguaggio in grado di consentirgli sia di dominare la realtà, sia di trascenderla accompagnandolo alle soglie del mistero.
Questo obiettivo educativo è anche il primo passo dell’itinerario di educazione alla fede perché è l’unico che consente al giovane di formulare un si pieno alla propria vita e, quindi, alla vita. Senza l’acquisizione di un’identità personale radicata in una identità storico-culturale e senza un linguaggio che rende il giovane in grado di formulare e di governare il proprio progetto di vita non può aversi, infatti, la scoperta della linfa vitale dell’amore che benedice la vita.

LA SCOPERTA DELLA SOLIDARIETÀ

La seconda area strategica in cui si articola l’obiettivo dell’animazione mira ad abilitare il giovane a rispondere alla sofferenza che grava sul mondo attraverso una nuova morale, una nuova capacità di progettare il futuro, nella scoperta di un rinnovato equilibrio tra cura personale e impegno sociale che prende il nome della capacità di condivisione nell’amore, ovvero della solidarietà.
Questo obiettivo educativo è nella attuale  realtà sociale altrettanto urgente di quello precedente nell’aiutare il giovane a maturar un modello di vita in cui possa cadere con frutto il seme della fede.
Infatti se l’ identità personale nella società complessa è in crisi è altrettanto in crisi il Noi, ovvero la dimensione sociale della vita che è costituita da quella rete di solidarietà che consente ad ogni individuo umano l’utilizzo nel proprio progetto di vita le risorse, materiali e spirituali, messe a disposizioni dagli individui che con lui condividono lo spazio ed il tempo.
Il noi oggi è in crisi sia per la caduta delle relazioni interpersonali che ha condotto le persone a vivere, specialmente nelle grandi città, nell’isolamento e nell’indifferenza reciproca, sia per la crisi della politica che indebolisce il tessuto organizzativo del noi.
Senza questa dimensione solidale sociale non è possibile nel giovane la formazione di una personalità in grado di vivere il superamento dei confini della propria soggettività attraverso l’amore per gli altri come ricerca del senso più profondo della propria esistenza.
E senza questa apertura difficilmente il giovane si affaccia alle soglie dalle quali è possibile lanciare la propria invocazione al mistero trascendente.
Questa seconda tappa del cammino dei giovani verso l’accettazione della fede autentica rafforza la prima e rende possibile la terza.

L’INVOCAZIONE

L’animazione vuole aiutare il giovane a scoprire all’interno di quella tensione, non raramente dolorosa, che nasce dall’incontro del desiderio umano con le costrizioni della propria finitudine e dei vincoli della realtà naturale e sociale, il senso della sua esistenza come “invocazione” al mistero che la supera e la comprende.
Tutta la vita umana è segnata dalla dialettica irriducibile tra desiderio e limite. Si può affermare, addirittura, che tutta la civiltà umana si basa su questa dialettica. Infatti solo quando la potenza del desiderio incontra il confine del limite la vita svela la sua tensione creatrice.
Ora la cultura sociale attuale tende, invece, ad affermare, attraverso il modello del consumismo edonista, l’inutilità del limite o, perlomeno, a farlo considerare come un accidente che l’evoluzione culturale e sociale può comunque ridurre, espandendo così gli spazi dell’appagamento del desiderio.
L’incapacità di vivere in modo creativo la dialettica desiderio limite, oltre a banalizzare la vita svuotando di ogni senso il quotidiano, impedisce il prorompere dell’invocazione.
Un itinerario di educazione alla fede deve invece poter aprire la vita del giovane al mistero che la racchiude attraverso la scoperta della radicalità del limite che la racchiude. Infatti è solo dalla scoperta che il desiderio rimanda a qualcosa che non è appagabile dalla vita umana che nasce l’invocazione che rende l’annuncio “La risposta” alla propria inestinguibile sete di vita.
Perché questa sete possa essere percepita è però necessario che il giovane viva la presenza del limite nella sua vita e sia motivato ad interrogarsi sul suo senso.
La terza area dell’animazione vuole molto modestamente tentare di generare questa sete, oltre ad educare il giovane a esprimere la potenza del suo desiderio entro i confini dei limiti che segnano la sua vita.
E qui l’animazione si ferma conscia del suo limite radicale di modello educativo umano.

IL METODO DELL’ANIMAZIONE

Per raggiungere questi obiettivi, l’animazione si avvale, come è noto, di un metodo centrato sull’utilizzo del gruppo come luogo educativo e sullo sviluppo di una relazione educativa caratterizzata dall’accoglienza incondizionata del giovane e dalla fiducia.

L’accoglienza incondizionata

Una relazione educativa che voglia mettere in valore l’esperienza esistenziale del giovane e fondare su questa l’itinerario di educazione alla fede, deve essere caratterizzata dall’accettazione incondizionata da parte dell’educatore del giovane così come egli è nella sua interezza. In altre parole questo significa che l’educatore deve essere capace di riconoscere e valorizzare la persona del giovane, al di là del fatto che questa sia prossima o lontana dai modelli di uomo di cui egli è portatore e che costituiscono  l’obiettivo del suo agire educativo.
Ogni giovane, anche il più deviante o disperato deve sentirsi accolto prima ancora per ciò che può diventare per ciò che egli è in quel momento, anche se percepisce che l’educatore non condivide il suo modo d’essere. Il giovane, cioè, deve sentire che l’educatore lo ama senza calcoli.
L’accoglienza incondizionata è fondamentale per creare la possibilità che nella relazione educativa irrompa la potenza trasformatrice della fede perché fa vivere al giovane, concretamente, l’amore di Gesù per ogni uomo, specialmente per quello che è riconoscibile nell’immagine della pecorella smarrita o che soffre la sofferenza della finitudine che gli impedisce di sviluppare compiutamente la sua umanità.
Questo tipo di relazione è l’unica che può rendere credibile l’annuncio.
Per questo motivo anche il metodo dell’animazione, e non solo i suoi contenuti, può essere considerato una manifestazione concreta della fede che la salvezza, dopo la venuta di Gesù, è alla portata di ogni uomo nell’orizzonte della storia umana.
Questa affermazione appare ancora più vera se si considera anche l’altra caratteristica che fonda la relazione educativa dell’animazione: la fiducia

La fiducia

L’accoglienza incondizionata del giovane esprime oltre all’amore di Gesù per ogni uomo anche la fiducia nella sua redimibilità, nel fatto, cioè, che ogni uomo è portatore di un grande mistero che rende la sua vita aperta in ogni momento al dono della salvezza nonostante le condizioni in cui si esprime la sua vita e la sua umanità nel presente.
La fiducia che l’animazione esprime nella relazione educativa è la consapevolezza da parte dell’educatore che ogni uomo può, al di là di ciò che è in un certo momento della sua vita, realizzare pienamente le potenzialità umane di cui è portatore e che la vita del Figlio dell’Uomo ha illuminato con la sua pienezza.
Questa fiducia implica che l’animatore è talmente convinto di questo da essere disponibile a scommettere ed a giocarsi, quindi, nell’avventura della realizzazione umana che ogni giovane può esprimere.
Accoglienza e fiducia sono perciò i due pilastri che sostengono il metodo dell’animazione visto sia come espressione della fede e sia come fondamenta della prima parte dell’itinerario di educazione dei giovani alla fede.
Il fatto poi che questo itinerario sia proposto dall’animazione attraverso il gruppo completa la congruenza dell’animazione agli itinerari di educazione alla fede.

Il gruppo come luogo di educazione alla fede

Gesù afferma: “Perché se due o tre persone si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro”(Mt 18,20). C’è anche un detto di Gesù simile a questo che è riportato in un manoscritto emerso alla fine del secolo scorso dalle sabbie dell’Egitto che amplia ulteriormente questa affermazione: “Là dove due sono riuniti non manca Dio”.[1]
Questi detti di Gesù sono delle inequivocabili affermazioni circa il fatto che dove almeno due persone sono in comunicazione diretta, personale ed autentica Egli è in mezzo a loro.
Questo significa che l’esperienza di comunicazione autentica tra le persone, che significa il loro accettarsi reciproco, la condivisione di fini e di scopi comuni e il vivere la solidarietà è un terreno più propizio dell’isolamento individuale all’irrompere del messaggio salvifico di Gesù.
L’animazione mirando a creare esperienze di vita di gruppo segnate dall’autenticità, secondo l’accezione appena esposta, può essere un luogo più fecondo all’annuncio ed allo scaturire misterioso dell’esperienza di fede.

L’UOMO, IL LIMITE E IL MISTERO

Gli obiettivi dell’animazione, che oltre ad essere validi come obiettivi di formazione della personalità umana del giovane, sono anche importanti tappe di un cammino di educazione alla fede, lasciano intravedere il modo particolare dell’animazione di pensare all’uomo.
Infatti l’animazione pensa ad un uomo che, pur essendo impegnato sino allo spasimo per ridurre la presenza del dolore nel mondo e per fecondare la terra con il seme della giustizia, sa accettare con umiltà e sapienza le inevitabili sconfitte ed i fallimenti che, sovente, segnano il risultato di questo impegno.
L’uomo dell’animazione non è, quindi, Prometeo ma un essere che è consapevole della finitudine radicale del suo essere nel mondo e che sa trarre la potenza del suo agire da questa sua stessa finitudine e che non giudica il risultato delle sue azioni secondo la logica del successo.
Sul modo particolare di concepire l’uomo si è già soffermata in modo specifico la voce “progetto d’uomo” apparsa nel 1985, oltre che le altre voci sul carattere progettuale e storico della vita umana, per cui qui si vogliono solo sottolineare quegli aspetti che rendono la concezione dell’uomo dell’animazione null’altro che un frutto, modesto peraltro, della storia umana del Figlio di Dio.
L’uomo dell’animazione, infatti, è un uomo che sa confessare la sua debolezza e che da questa sua confessione, per l’aiuto della grazia divina, sa trarre la sua capacità di essere non solo un testimone della giustizia, della felicità e della verità del Regno ma anche colui che opera perché esso si compia nella pienezza pur essendo consapevole della inadeguatezza del suo stesso operare. Tuttavia egli sa che attraverso di lui e la comunità degli uomini che condividono in modo esplicito, o magari alcuni solo in modo implicito, la sua fede la potenza dello Spirito agisce per la costruzione del regno la cui presenza è già visibile anche se non ancora compiuta.
Questo aspetto della concezione dell’uomo dell’animazione è un modo implicito attraverso cui questa professa il suo essere frutto, ancora troppo pieno di limiti e di contraddizioni, del lavoro della comunità cristiana nella costruzione del già e del non ancora del Regno.

Conclusione


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