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Formazione continua

Creato il 05 marzo 2014 da Pedroelrey

Non amo la futu­ro­lo­gia, non lo nego: il pro­gresso mi pare una cosa pre­ve­di­bile solo in parte e attra­verso la scienza (e non sono uno scien­ziato). Fac­cio il gior­na­li­sta, mi piace di più cer­care di capire qual è il con­te­sto nel quale vivo e in que­sto post cerco di farlo almeno un po’. Per il gior­na­li­smo que­sto con­te­sto secondo me parla ormai da anni di “for­ma­zione con­ti­nua” come una vera e pro­pria forma men­tis e non come neces­sità di fare ogni tanto un corso di for­ma­zione. Pro­ba­bil­mente la ragione del nostro senso di paura nei con­fronti del futuro (certo, chi la paura ce l’ha) è legata al fatto che ci siamo distratti un attimo.

Dico “For­ma­zione con­ti­nua” per­ché mi rendo conto, un po’ in ritardo anch’io ovvia­mente, che per i gior­na­li­sti da anni stu­diare costan­te­mente è un fat­tore pro­fes­sio­nale ine­lu­di­bile (o “lavo­rare stu­diando”), è un po’ come se tutti noi fos­simo diven­tati aspi­ranti ricer­ca­tori, e ogni giorno doves­simo cer­care di impa­rare qual­cosa di nuovo, di lasciarci con­ta­mi­nare da altre espe­rienze in altri con­te­sti. Siamo pur sem­pre il Paese dove ti dicono “lau­reati, pren­diti un pezzo di carta”, per­ché tanto fino a qual­che anno fa un con­cor­sino per siste­marsi si tro­vava. Non è facile.

Poi un giorno mi trovo a Fer­rara e sento par­lare Pie­tro Greco, gior­na­li­sta scien­ti­fico navi­gato che non cono­scevo e però ha un’ottima accoun­ta­bi­lity, e che dice più o meno così: “Siamo nella società della cono­scenza, è ovvio che le com­pe­tenze scien­ti­fi­che acqui­si­scano sem­pre più peso”. Non mi ero mai sof­fer­mato prima sulla defi­ni­zione di “società della cono­scenza” e così cerco su goo­gle. Trovo addi­rit­tura una tesi dei lau­rea, sco­pro che è tra i temi caldi dell’Unione euro­pea, che ci sono pro­grammi finan­ziati per rag­giun­gere lo scopo. Anche qui, si vede che mi son distratto un attimo.

Sugli Open Data poi il cielo è sem­pre più blu (libe­ra­mente ispi­rato alla can­zone di Rino Gae­tano): me ne occupo ormai tutti i giorni (per lavoro e per atti­vi­smo) da oltre due anni e pen­savo alle diverse tipo­lo­gie di per­sone che hanno a che fare con i dati (e che stanno cre­scendo e aggre­gan­dosi molto velo­ce­mente in que­sti anni, anche gra­zie alla com­mu­nity Spa­ghetti Open Data). Lo sce­na­rio ancora non mi pare deli­neato, anche per­ché nel mondo degli Open Data i grandi assenti sono tanti (i grandi gruppi edi­to­riali, innan­zi­tutto). Le tipo­lo­gie di sog­getti che ci sono e che mi ven­gono in mente (in rigo­roso ordine sparso) sono le seguenti:

  • Chi pub­blica i dati
  • Chi paga per­ché i dati non ven­gano pubblicati
  • Chi inter­preta i dati
  • Chi fa gior­na­li­smo con i dati
  • Chi pro­muove la cul­tura dei dati
  • Chi nonha inte­resse alla dif­fu­sione della cul­tura dei dati
  • Chi finan­zia l’uso dei dati
  • Chi è curioso sui dati
  • Chi si occupa degli aspetti più tecnologici
  • Chi degli aspetti giuridici

In prov­vi­so­ria con­clu­sione penso tra me e me: tra i gior­na­li­sti c’è chi è otti­mi­sta e parla di “Alba di un nuovo gior­na­li­smo”, e chi lo è meno e chiede di “Smon­tare gli arche­tipi cul­tu­rali” del vec­chio gior­na­li­smo. Io fac­cio fatica a “sce­gliere”, anche per­ché credo che poi si tratti di modi dif­fe­renti per rac­con­tare ciò che sta acca­dendo. E’ tutto molto veloce, l’unico arma con la quale pos­siamo com­bat­tere è la con­di­vi­sione della cono­scenza. E in fondo quindi non siamo molto lon­tani da quanto si diceva tre secoli fa (e non so dav­vero se sia un bene, o un male il fatto che “ancora” ci tro­viamo in que­sto punto della riflessione).

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