Magazine Cultura

Forme di surplus (Socioanalisi)

Creato il 13 novembre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Forme di surplus (Socioanalisi)
Dedico questo saggio alla memoria di uno dei più grandi maestri del Novecento: Claude Lévi-Strauss
Le due variabili che prendo in esame in questa teoria sistemica della storia sono: il surplus (inteso come appropriazione eccedente) e il dominio. Due variabili che interagiscono tra loro, a cui non si possono assegnare una preminenza causale dell’una sull’altra. Scegliere questo particolare punto di vista all’interno della nostra strategia di ricerca e analizzarlo attraverso le varie forme entro cui il surplus si è concretamente e socialmente materializzato, non vuole dire ricondurre ogni spiegazione storica a questa correlazione, come se effettivamente qualcosa viene sufficientemente spiegato soltanto quando dietro di esso si è scorto la presenza o il valore di surplus e dominio. Se così fosse è evidente la riduzione di tutta l’analisi storica ad una spiegazione monocausale o monodirezionale, con il rischio di incorrere proprio in ciò che voglio evitare. Approdare a una tale visione della storia sarebbe semplicemente riduttivo e privo di senso. Si tratta di portare avanti un’indagine “fenomenologica”, in senso husserliano, di come il surplus si è storicamente concretizzato, mettendo ogni volta in evidenza come la sua particolare natura abbia “spostato” e modificato le funzioni dominanti all’interno del sistema di relazione, poiché ogni intensificazione di surplus ha avuto come conseguenza una intensificazione di dominio, e viceversa. Sono, dunque, due variabili che l’una in funzione dell’altra.
Il filo conduttore di tutta questa strategia di ricerca è costituito, nelle sue varie fasi, dal modo in cui surplus e dominio si presentano nelle diverse società. Ad ogni modo, poiché del dominio ho già tracciato un profilo, soffermandoci ora sulla seconda variabile. Rispetto all’uso corrente del termine, non intendo affatto con tale termine il lavoro umano non restituito né sotto forma di beni materiali né di beni immateriali. Il surplus non è semplicemente unità lavorativa non consumata direttamente dagli individui che la producono. Inteso in questo senso, Luciano Gallino sostiene che tutte le società, al di sopra dell’orda primitiva, hanno di fatto prodotto e producono surplus e che l’evoluzione sociale e culturale nonché lo sviluppo delle civiltà sono rese possibili solamente dall’esistenza di un surplus (Gallino, Dizionario di sociologia). In sostanza, al surplus non assegno un valore puramente economico, bensì un valore interazionale. Se il surplus fosse eccedenza lavorativa non consumata direttamente, ma restituita alla collettività sotto forma di beni pubblici (strade, acquedotti, edifici di pubblica utilità) o destinata alla produzione ed al consumo di beni e servizi improduttivi, come le espressioni dell’arte, le cerimonie rituali o le feste, allora non si dovrebbe parlare di surplus, poiché in ogni caso il consumo collettivo dell’eccedenza lavorativa, accumulata dai singoli lavoratori, sarebbe comunque un consumo di cui ogni singolo individuo beneficia. Il surplus, insomma, così come lo s’intende comunemente è lavoro umano sottratto, non restituito quindi alla collettività, il cui impiego viene deciso dal gruppo che ha operato la sottrazione. Questo uso può anche essere destinato alla costruzione o alla produzione di quei beni, ma non allo scopo di accrescere il benessere della collettività, bensì allo scopo di accrescere il proprio potere, il proprio prestigio o la propria influenza sul corpo sociale, accrescimento che avrà circolarmente come conseguenza lo scopo di incrementare la quantità di surplus. Che di riflesso una parte della collettività possa godere di questa destinazione del surplus è evidente, come è anche evidente che ci sarà un’altra parte della collettività che ne subirà solo le conseguenze negative.
L’“essenza” del surplus consiste nell’essere “appropriazione” di un ambito non disponibile al Sé, che in circostanze storico-sociali differenti cambia di forma e intensità. Più precisamente, la risorsa che viene sottratta all’altro non riguarda soltanto l’aspetto economico-materiale (sebbene ci sia anche questo aspetto), bensì riguarda un ambito non più disponibile al sé. Il mio concetto di surplus si discosta radicalmente da ogni analisi sinora effettuata. Anzitutto, si discosta da ogni considerazione di ordine moralistica, perché non si riduce il tema del surplus al problema dello sfruttamento del lavoro umano. Non che si voglia escludere questa componente, ma non la si riduce ad essa. Prendiamo, ad esempio, il sistema schiavistico di relazione: ciò di cui il sistema di dominio s’appropria non è il lavoro dello schiavo, bensì s’appropria del suo corpo. Lo schiavo può svolgere diverse mansioni, può anche lottare nell’arena come gladiatore, mansioni “decise” dal suo “proprietario”. Perché lo schiavo diventa un surplus per il sistema sociale che lo genera? Perché il sistema può ora “disporre” di qualcosa in più che può destinare secondo le proprie esigenze. Pensiamo, ad esempio, a una comunità che sia riuscita a produrre cento quintali di grano, tanto quanto basta a sfamarla in modo soddisfacente. Se questa comunità riuscisse a sottrarre a una seconda comunità altri venti quintali di grano potrebbe da un lato avere la possibilità di sfamarsi ancora di più, dall’altro potrebbe impiegare il resto dei quintali sottratti per scambiarli con un’altra quantità di prodotti. L’eccedenza sottratta può avere altri usi. La comunità potrebbe decidere di produrre venti quintali in meno all’anno, e destinare l’eccedenza di lavoro all’impiego di altre mansioni (ad esempio, specializzarsi meglio nell’arte della guerra). Immaginiamo che anziché sottrarre grano questa comunità s’appropri della vita delle persone. Anche in questo caso l’eccedenza di uomini e donne ridotte in schiavitù potrebbe consentire alla comunità di impiegare parte degli uomini dalla vita nei campi ad altre attività. A quelle delle armi, soprattutto, dal momento che la sottrazione è avvenuta con la forza e la violenza, sarebbe necessario allora per continuare a garantirsi dell’appropriazione eccedente di stabilizzare tale forza e tale violenza. Ciò che non bisogna perdere di vista in tale analisi non è tanto il modo in cui queste persone “prigionieri” verranno impiegate, ossia la loro destinazione, se saranno impiegati nei campi, nelle miniere, nelle “galere”, ecc., ma ciò che il loro “possesso” consente di fare ai loro “possessori”. Ciò che non bisogna perdere di vista, in realtà, è il fatto che le persone ridotte in schiavitù non possono più disporre del proprio corpo: vale dire, il proprio corpo diventa un ambito non più disponibile per il proprio sé. Chi invece ne può disporre è come se disponesse di “corpi” supplementari. La disponibilità di questi corpi supplementari o eccedenti permette al possessore di destinare il proprio corpo ad altre funzioni. Praticamente è come se dicessi che se un uomo può disporre di venti braccia per lavorare la terra, può impiegare le proprie per altri usi. Si intuisce che il diverso uso delle proprie braccia dipende dal possesso di quelle venti o dieci braccia.
Se, invece, un’istituzione s’appropria della coscienza (o l’anima) o della prestazione delle persone, come accade rispettivamente con la Chiesa nel sistema feudale, e il mercato nel sistema capitalistico, dove si ha il surplus? Nel primo caso l’anima diventa un ambito non disponibile per il proprio sé, nell’altro lo diventa la prestazione. Anche in questo caso, non bisogna porre l’attenzione sull’uso che si fa di tale appropriazione, ma su ciò che tale appropriazione/sottrazione permette di fare al rispettivo sistema. La Chiesa feudale, appropriandosi dell’anima dei credenti, cioè potendone decretare la “salvezza” o la “dannazione” nell’aldilà, produce un’“eccedenza di senso”, ossia produce un supplemento di motivazioni atte a giustificare la condotta umana. In pratica, ogni atto della vita quotidiana trova la sua giustificazione e legittimazione nel “senso” simbolico che la dottrina della chiesa produce, avendo il monopolio esclusivo delle coscienze. Il surplus nel sistema feudale non bisogna individuarlo nelle corvées, cioè nella prestazione d’opera gratuita a cui il vassallo era tenuto a favore del suo signore, ma nell’opera teologica che le giustifichi sulla terra. Il tributo incorporato nel rapporto sociale di vassallaggio è legittimato dall’ordine simbolico della chiesa feudale.
Infine, il surplus nel sistema capitalistico occorre individuarlo nella moltiplicazione delle prestazioni, in ciò che Durkheim aveva definito come divisione del lavoro sociale: l’eccesso di prestazione crea surplus. La prestazione diventa un ambito sottratto all’ambito del sé, in quanto ad appropriarsene è il mercato: il modo in cui occorre creare e regolare una prestazione non è più, nella moderna economia di mercato, un requisito deciso dal prestatore d’opera, ma una prerogativa decisa appunto dal mercato. Se osserviamo storicamente come tale appropriazione è passata da ambiti “visibili” ad ambiti sempre più “invisibili”: l’appropriazione, man mano che si sviluppava la coscienza e la libertà degli esseri sociali dai vincoli “naturali”, ha riguardato ambiti sempre più “evanescenti”, ma non perciò meno reale. Il sociologo americano Michael Burawoy ha parlato di “surplus trasparente” e di “surplus oscurato”, ma non ha messo l’analisi del surplus in correlazione alle forme di dominio. Tuttavia, la sua analisi è rimasta ancorata ad una visione marxiana del surplus, cioè a una visione puramente economica.

Il rendersi sempre più evanescenti gli ambiti di appropriazione spiega anche perché le funzioni dominio si siano trasformate qualitativamente sino a non essere più percepibili. Infatti ogni forma di dominio è correlato a una forma determinata di surplus (e viceversa). Una forma di dominio coercitiva non può sostenere né il surplus sottratto nel sistema feudale né quello sottratto nella moderna fabbrica; ma neanche una forma di dominio suggestiva potrebbe produrre surplus nel sistema schiavistico di relazione o in quello capitalistico. Perciò, dal punto di osservazione di questa strategia di ricerca, seguire l’evoluzione del surplus diventa essenziale quando si vuole comprendere una particolare configurazione del sistema di relazione, e quindi della forma di dominio che lo esprime. Il surplus, secondo noi, ha costituito (e tuttora costituisce) l’elemento vitale della civiltà occidentale. I sistemi occidentali di relazione hanno conosciuto forme e intensità di surplus del tutto sconosciute agli altri sistemi. Capire per un verso perché tale intensità si sia verificata nei sistemi occidentali di relazione e per un altro perché altre forme di civiltà non hanno conosciuto una tale intensità diventa sia dal punto di vista sociologico che storico estremamente importante ai fini di una comprensione globale del mondo occidentale. Anche perché infine tali forme e intensità, quando sono state esportate all’interno di altri sistemi di relazioni, hanno imposto a essi il loro dominio.

Chi vuole approfondire questi temi può leggere:
Il dominio
Sparta
La funzione di dominio nel mondo antico
Il ruolo della coercizione nel mondo antico
Chiesa e Stato alle soglie dell’età moderna
Il processo di assimilazione
Dal corpo al sé multiplo

Sè modulabile 

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :