Anna Lombroso per il Simplicissimus
Parlare male di qualcuno per farne pensare bene è di solito l’ultima frontiera della sottomissione e della piaggeria. E la più insidiosa perché di solito vi si esercita il più subdolo dei cortigiani, quello noto per critiche spietate e invettive spericolate.
Infatti oggi è la volta di Aldo Grasso con un ritrattino in punta di penna di Elisa Fornero.” Non ci sono dubbi: un personaggio di Edmondo De Amicis. Ma sì, è lei quella maestrina che «porta una gran penna rossa sul cappello e una crocetta di vetro giallo appesa al collo». Dalle elementari è passata all’università, la voce argentina «che par che canti» ha lasciato il posto al tono autorevole della tecnocrate, ma le due anime del padre putativo non sono scomparse”, dice di lei. “Tutto in lei concorre al ritratto della donna «a posto»”.
Addirittura non si esime spericolatamente mordace, dall’irriderla leggermente per le lacrime facili: “Fornero si commuove davanti alle telecamere ma, come De Amicis, fa soprattutto piangere, con un punta di compiaciuto sadismo. Con Marcegaglia e Camusso pretende il lei, le riforme si fanno anche senza quella palla al piede della concertazione. E solo una maestrina dalla penna rossa poteva trattare Bonanni e Angeletti come due incalliti «fuori corso» e il sottosegretario Martone come un suo assistente un po’ sfigato”.
Chi si chiedesse chi gliel’ha fatto fare a Aldo Grasso di prodursi in questo servizio che chi fa meno brillantemente di lui questo mestiere, uno dei più vecchi del mondo, chiama “marchetta”, si può anche rispondere. L’ossequio e l’adulazione, soprattutto quando assumono forme più sofisticate, sono una tentazione irresistibile per i giornalisti, secondo l’antica regola che è il costo da pagare per essere ammessi. E che a volte una piccola elegante punta velenosa alza il prezzo.
La contropartita perché sia concesso di entrare negli arcana imperii è quello di rivelarne quello che il potente di turno vuole si sappia. Svelare il già noto, l’ammirevole, anche qualcosa di apparentemente sgradevole, che concorre però a dipingere un ritratto di determinazione e di potenza, o sintomatico di umana debolezza, sì da farci pensare che in fondo si tratta di uno come noi e non di uno che si è collocato sopra di noi con tutti i mali che ne conseguono.
Di Fornero, per carità non la facciamo irritare con quello stupido articolo che la condanna a una femminea debolezza, infatti ci appalesa che è tenace, che la sua unica trasgressione sono le creme di bellezza, ma anche che ha un cuore capace di innamorarsi, che è dedita con irremovibile disciplina agli studi, che ha voluto e saputo affrancarsi da modeste origini. Omette, ma è di sicuro una dimenticanza, che di quelle origini evidentemente si vergogna se è autrice delle misure più infami a detrimento della sua classe e anche del suo sesso. Tralascia, ma può succedere, di ricordare che la “donna a posto” che fa però perdere il posto alle donne, è stata molto dinamica nel crearne anche più d’una a sua figlia.
Ma quando scrive: “a chi la vuol tirare per la giacca oppone un secco rifiuto: «Basta giacchette, solo maglioni»”, il nostro sfida il ridicolo. E non solo perché è inevitabile pensare che tanta feroce autonomia della ministra cada magicamente di fronte alla persuasiva pressione del maglione per antonomasia. Ma perché non c’è nulla di edificante, nulla di serio, nulla di razionale e nulla di buono e utile in un ministro che pensa che le istanze dei lavoratori e i loro diritti, le loro rivendicazioni rappresentate dai sindacati, le esigenze dei cittadini testimoniate sia pure timidamente da qualche partito, siano pretese inappropriate, insistenze illegittime, pungoli stonati nel concertino algido e indifferente di questo governo separato e ostile.
A Grasso la virile ministra senza dubbi, senza debolezze e senza coscienza piace proprio. Ma non riesce a farla piacere a noi.