Magazine Società
Non è dalla crisi in corso, che il peso del presidente della Repubblica sia sempre maggiore nel gioco politico-istituzionale. Come dicono politologi e costituzionalisti, nei momenti di difficoltà del sistema dei partiti e di conseguente debolezza delle istituzioni governo e parlamento, la figura del Capo dello Stato gioca un ruolo di supplenza del sistema malato, estendendo di molto il suo raggio d'azione (il problema è che la situazione di difficoltà dura da un ventennio, da quel 1992 della esplosione di "Tangentopoli"). Con le decisioni prese da Napolitano ieri, viene congelato il governo in carica (formalmente non sfiduciato, è vero, ma che il suo rapporto fiduciario lo aveva - fino al dicembre 2012 - con il parlamento della legislatura precedente); congelato, anche, il "pre-incarico" (altra figura bizantina) a Bersani; delegata la ricerca di una base programmatica per un ipotetico governo non ad un nuovo presidente del consiglio incaricato, ma ad una commissione di dieci cosiddetti "saggi" di nomina presidenziale; auspicata l'elezione di un nuovo Capo dello Stato frutto di un' "ampia intesa" (si era mai visto un Capo dello Stato in carica intervenire, seppur dicendo cose del tutto ovvie, nell'elezione del suo successore?). Insomma, dal quadro che ho provato a modo mio a riassumere, mi viene da dire, da semplice cittadino, che pur nella consapevolezza dell'intricata ed inedita situazione e delle difficoltà per superarla, forse, le dimissioni di Napolitano (di qualche settimana rispetto alla scadenza naturale, peraltro), sarebbero state la scelta migliore. Con un nuovo Capo dello Stato nel pieno dei suoi poteri, compreso quello di scioglimento delle Camere, ogni pedina dello scacchiere avrebbe recuperato la sua giusta posizione (o almeno ci avrebbe provato).
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