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Forse (non?) farà calcio

Da Desian
Il calcio a nov'anni può essere una discreta iattura. Soprattutto se c'hai due genitori che cercano di tenertene lontano in ogni modo. Persino ottenere una maglietta di Messi (rigorosamente ai banchini dei falsi, undic'euro appena...) diventa un'impresa: e insisti e urli e sbraiti.
- Tutti i miei amici fanno calcio.
- Ma perché non lo mandate a calcio?!
- Voglio fare calcio.
Calcio. Per il maschio italiano il calcio non è uno sport, è un'ideologia di quelle non ancora morte, uno status, una rincorsa. Un intero orizzonte culturale.
E non si sfugge.
A nove anni un ragazzino è già prigioniero: le regole, le partite alla tv (europei, campionato, amichevole d'agosto), la squadra del cuore. Ecco serviti, già precotti, i miti a cui tendere: ragazzi, relativamente poco più grandi di loro, ricchi famosi che parlano in tv. Che sono sui giornali, che insegnano come vivere dalle pagine dei rotocalchi, sono trend, sono fighi. Qualcuno sfascia anche una Ferrari: "poverino, chissà che spavento". Che guadagnano fortune senza mai aver lavorato un solo giorno. Perché giustamente a quella età non si lavora, bisognerebbe andare a scuola.
Che p...izza, mi tampina già appena sveglio: "ehi, uomo piccolo, settimana prossima ricominciano le lezioni di judo. Ti iscriviamo, vero?".
No, io voglio fare calcio, calcio ho detto. Non so cosa ci sia di male: ci sarà chi ha chiesto di fare nuoto, chi rugby e chi ping pong. A me piace il calcio e tutte le volte che vado in piazza ci sono i miei amici che ci giocano. Io non so nemmeno come si mette il piede, per calciare.
E poi è uno sport che ti fa sfogare: guarda i genitori, ai bordi del campino, durante la partita. Urlano, imprecano, sputacchiano nell'aria gridando a squarciagola, incitano i loro ragazzi "spezzagli le gambineeee... Arbitro cornuto".
La dirigenza non ci tiene all'agonismo, ce l'hanno detto chiaramente, quando siamo andati con la mamma ad informarci, l'altro giorno. A loro gli interessa che ci divertiamo.
Non c'è judo che tenga, lo capisci?
Capisco che sia così. Io il lunedì mattina, quando rientro in ufficio, sono svogliato. Non ho una squadra del cuore, sono arido, non commento i risultati. Non gioisco, se vinciamo. Ma "vinciamo", chi?! Noi, loro, qualcun altro? Io il calcio lo giocavo per strada, litigavo coi compagni per un gol non concesso, per un fallo laterale millimetrico. Poi la domenica andavo allo stadio: non ci capivo granché, però mi divertivo un mondo... Avrei potuto studiare, invece. Leggere un bel libro.
Sarebbe bello appassionarsi, per i capricci di uno di questi onesti ragazzi, perché non segna più, "ha perso la via del gol" si dice, è deconcentrato. Rischia lo stop, lo metteranno in panchina.
"Se ce l'avessi io sotto mano, lo farei trottare".
Avrà problemi a casa. Povero ragazzo.
(Ma no, che vuol dire. Esageri, come sempre. Tiri in ballo il "maschio italiano". Addirittura un "orizzonte culturale". Ma non sarai un po' un invasato?! In fondo è solo uno sport, si fa così, per ridere. I ragazzi si divertono. Si sfogano, si sa i maschietti non sono come le femmine che sono più tranquille. Solo per questo, per fare due chiacchiere tra amici. Al bar).
Io, l'ho già detto, quest'anno voglio fare calcio.
Quest'anno chissà come finisce. Col judo è in crisi. Forse, forse, forse. Farà calcio.

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