Fortuna

Creato il 20 agosto 2013 da Scribacchina

E’ un tardo pomeriggio di inizio agosto.
Il sole che tramonta è il preludio di una calda serata ambientata in Sicilia.
Calda ma mai opprimente.

Passeggio tra le vie senza tempo di Scicli.
C’è, qui, una Bellezza tanto grande che riesco a sentirla con tutti i sensi.
E’ il vento che accarezza le mani e si infila tra le dita; è l’incantevole, totalizzante profumo del gelsomino siciliano, un sentore d’altri tempi che rapisce il cuore; è il gusto antico dell’aria che bevo ad ogni respiro; è il superbo color oro dei palazzi barocchi, declinato in mille diverse sfumature.

Il senso dell’udito è il più complesso: rumori, voci e suoni si accavallano in un caos senza logica.
Mentre considero come dal Caos sia nato il sublime Pirandello, il rumore del vivere si affievolisce; nelle orecchie si insinua il suono di una chitarra acustica e di una voce. Sembra arrivare da quella direzione, sì, da lì: saranno tre o quattro vie di distanza.
E’ una bossa nova.

Inseguo la voce di questo cantastorie sconosciuto.
Salgo strette scale di pietra, percorro piccole strade dimenticate che d’improvviso si aprono in una piazzetta; le note colorano ogni mio passo con tinte sempre più vive man mano mi avvicino.
Vedo ragazzi che corrono, gente che cammina con passo sonnolento.
Sguardi distratti.
Un minuscolo palco di legno – tanto basso da eliminare ogni barriera tra artista e pubblico – sta al centro della piazza, proprio accanto ad un imponente palazzo d’inizio Settecento.

Il cantastorie mi dà le spalle, è seduto su uno sgabello al centro del palco.
Porta un paio di bermuda beige, una maglietta grigia e un panama.
Buffo: ai piedi ha un paio di All Star identiche alle mie.
Ancora più buffo: mi sembra di riconoscere la sua voce.

Alzo lo sguardo al cielo e penso a quale straordinaria Fortuna mi è capitata: riuscire a sentire la Bellezza così completamente, sentirla dentro, sentirla farsi grande, traboccare e… uscire improvvisamente dalla mia bocca sotto forma di parole.

Parole quasi urlate nell’indifferenza generale, proprio mentre giro l’angolo del palco e incrocio, finalmente, lo sguardo del cantastorie: «Non ci posso credere… Mario Venuti!».


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