Le grandi vittorie arrivano sempre alla fine. Soffri per molto tempo, a volte per una vita, e quando meno te lo aspetti, alla fine, vedi la luce. La vicenda che ha per protagonista l’italiano Chico Forti – imprenditore trentino condannato all’ergastolo con l’accusa di omicidio negli Stati Uniti, dove si era recato per lavoro – sembra destinata a divenire una di queste storie dopo che, come storia, è iniziata nel modo più incredibile. E’ infatti l’odissea di qualcuno condannato al carcere a vita in quanto presunto mandante dell’omicidio di una persona incontrata per la prima ed unica volta per un arco di appena mezz’ora. Un omicidio di cui in teoria si conosce il mandante – il Forti, appunto – ma in pratica si ignora l’esecutore materiale senza contare che l’arma non è mai stata trovata. Un omicidio il cui mandante è stato quindi condannato senza prove nè testimoni bensì, udite udite, sulla base della sola «sensazione». Non è uno scherzo.
Lo ha affermato a chiare lettere, dopo appena poche ore di ritiro, la stessa Corte: «La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale». Verrebbe da ridere, se non fosse vero. Ma purtroppo è vero. E per fortuna ieri un altro piccolo passo avanti per i diritti di quest’uomo è stato compiuto: il Consiglio della Regione Autonoma Trentino- Alto Adige/Südtirol ha approvato all’unanimità una proposta di Mozione – la n. 50/XIV (primo firmat. cons. Pino Morandini) – che chiede al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio di attivarsi «affinché Chico Forti possa ottenere dalle Autorità statunitensi quantomeno una revisione del processo che lo ha visto condannato all’ergastolo da una Corte che, per sua stessa ammissione, non aveva prove».
E’ la dimostrazione che la sua terra, il Trentino, non lo ha dimenticato. E’ la dimostrazione che nonostante gli ormai tanti anni trascorsi – la condanna dell’imprenditore trentino risale al giugno 2000 – qualcuno, anzi molti, credono non solo all’innocenza di questo ergastolano, ma anche alla possibilità che costui sarà finalmente messo nelle condizioni di dimostrarla, la sua innocenza. Questa volta in un processo finalmente equo – in quello già celebrato il suo avvocato era in potenziale conflitto d’interessi giacché lavorava anche per l’ufficio del procuratore – e dove la Corte, anziché basarsi sulla propria «sensazione», dovrà decidere sulla base di riscontri concreti e non di prove che prove non sono, come per esempio i tabulati telefonici di giorni, addirittura di anni (!) diversi da quelli in cui si svolse la vicenda esibiti nel precedente processo. Forza Chico, forza. Le grandi vittorie arrivano sempre alla fine e la tua incredibile vicenda ha tutte le carte in regola per concludersi in questo modo: con una grande vittoria. Sofferta, sudatissima, autentica. E proprio per questo davvero grande.