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La domanda che risuonerà prima, durante e dopo la visione del film sarà: io cosa farei?
Cosa farei se una valanga, se un qualunque evento pericoloso, stesse per mettere a repentaglio la mia famiglia e i miei cari: scapperei come una codarda, o rimarrei a proteggerli?
Giustificherei la mia corsa verso la salvezza come un tentativo di mettermi al riparo per poi poterli tornare a soccorrere o quell'istinto animale, quello che da Darwin in poi si definisce istinto di conservazione della specie avrebbe il sopravvento?
A giocare un ruolo fondamentale nella risposta a questa domanda, potrebbe esserci anche il sesso, se sei donna, l'istinto materno prevale -in via teorica- e la protezione dei cuccioli, del proprio nido, si fa sentire. Il maschio, in natura, deve continuare a procreare, la sua salvezza sì si fa essenziale.
Vi sento già arrovellarvi, vi sento polemizzare internamente con quanto scritto e con quanto deciso.
Il fatto essenziale è uno: alla domanda non potete rispondere.
Non se non vi siete trovati in una situazione simile.
Tomas e Ebba vi si trovano, purtroppo.
In settimana bianca detossicante da un lavoro che cerca Tomas anche lì, in giornate fatte di sciate in piste immacolate, in un hotel di lusso, i due e i due figli giocano alla famiglia bella e perfetta, che scherza, si diverte, si addormenta assieme, esausta nel lettone.
Tutto cambia, però, quando quell'evento pericoloso accade, quando una valanga apparentemente controllata inizia la sua caduta mentre loro sono tranquillamente a mangiare, ma quel controllo sembra non esserci, quell'ondata di neve sembra inarrestabile e pronta a travolgerli.
Il panico è istantaneo: Tomas, dapprima calmo e meravigliato, prenderà guanti e telefono e si darà alla fuga, Ebba resterà con i figli, abbracciandoli a sé urlando assieme a loro il nome del padre.
La valanga si fermerà in tempo, a travolgerli sarà solo una fitta nuvola di nevischio, e mentre questa si dirada, mentre Tomas con la coda tra le gambe tornerà al tavolo, lo sguardo di Ebba si fa accusatorio, e la coppia si incrina, forse per sempre.
La spaccatura prosegue nei giorni successivi, quando lui si rifiuta di ammettere quanto successo, con prove video alla mano, si rifiuta di credere di essere quel tipo di marito e di padre che abbandona la famiglia, di essere un codardo, altro che pater familiis.
Nella girandola di crisi, di accuse e di risentimenti, vengono coinvolti anche gli amici, che a loro volta litigheranno, accusandosi a vicenda di -parlando ipoteticamente- essere dei vigliacchi egoisti.
Il gioco finisce per coinvolgere anche lo spettatore, che vede in Tomas quel marito, quel padre sbagliato, stando dalla parte di Ebba, delle sue sfuriate, dei suoi dubbi.
Ma la scelta istintiva fatta, ha colpito prima di tutto quel Tomas che si credeva uomo tutto d'un pezzo, quel genere di uomo che protegge e salva la sua famiglia: scoprirsi uno che scappa, uno che molla, è un colpo forse maggiore di quello accusato da Ebba.
E quindi, è più uomo chi scappa per salvarsi, o chi entra in crisi, si scioglie in urla e pianti disperati?
E' più donna quella che protegge i figli, o quella che nel vedere il marito incapace di smettere di singhiozzare, fatica a stargli vicino?
Il crescendo del racconto di Forza Maggiore, è così di quelli che cattura, fin dall'inizio, fin da quella domanda che si insinuerà, proprio per forza maggiore, in ogni conversazione a film finito.
La bravura del regista Ruben Östlund, premiato a Cannes nella sezione Un Certain Regard, sta nel mantenere alto l'interesse, nell'alternare a momenti di riflessione, immagini suggestive e quasi oniriche, in bilico tra ironia e dramma, con quella neve bianca che finisce per lavare ogni peccato.
Qualche dilungaggine di troppo c'è, e pure qualche finale di troppo, ma in questo racconto, in questa parabola raccontata a capitoli divisi dalla musica trionfante o premonitrice di Vivaldi , c'è una potenza difficile da sostenere, ci sono dubbi, domande e riflessioni che resteranno, volenti o nolenti, senza una risposta.
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