19 ottobre 2015 Lascia un commento
Patrocinata dalla Fondazione MAST, l’edizione 2015 di Foto / Industria invade la citta’ di Bologna che gia’ due anni fa ospito’ l’edizione passata, la prima in assoluto. Se in precedenza fui sorpreso dall’evento che colsi per un soffio, ho avuto due anni per preparami, pianificare le visite e soprattutto seguire le pregevoli iniziative del MAST.
Ancora una volta la biennale si distingue per la qualita’ del materiale proposto e per le superbe sedi che la ospitano, merito ovviamente di una Bologna che non ha nulla da invidiare a ben altre citta’ italiane e che regge meglio, almeno per ora, la barbarie che avanza su tutto il territorio nazionale.
Il proponimento resta comunque uno solo: il mondo del lavoro visto sotto diverse angolazioni, nel presente e nel passato, in ogni angolo della Terra, senza confini.
Gianni Berengo Gardin
Prima mostra ad essere visitata e certo una delle piu’ rappresentative in seno alla manifestazione. Quarant’anni di industria italiana e d’italiani, quarant’anni pesanti in termini sociali e tecnologici, non solo per noi s’intende ma guardando quei volti, quegli spazi, quelle macchina, si coglie immediatamente la velocita’ vorticosa dal dubbio esito che stiamo vivendo. Gardin e’ interessato all’industria ma all’interno di una estetica che non la predilige.
Egli resta tra l’artistico e il didascalico, le persone ritratte si pongono innanzi all’obbiettivo col fare del ritratto pur restando nel posto di lavoro, congelati in un istante qualunque della quotidianita’. E’ un’Italia pacifica e pacificata, al limite dell’irreale stando ai racconti distorti di un’epica sindacale, eppure rendiamoci conto che siamo, o siamo stati, una nazione di gente che prima di tutto lavora, poi se ha tempo e voglia scende in piazza. Sto parlando dell’Italia migliore ovviamente, l’Italia che Gardin ritrae con tanta grazia senza concedere pero’ alcuna poesia ad una realta’ gia’ importante per come e’
Pierre Gonnord
Nella spettacolare ed evocativa cornice del Genus Bononiae Santa Maria della Vita, Gonnord espone i volti e con essi le storie di minatori dell’Asturia una regione al nord della Spagna che da generazioni lotta per sopravvivere malgrado le difficili condizioni di lavoro. Non saranno pero’ le difficiolta’ e i padroni e sconfiggerli ma la Comunita’ europea che esige la chiusura di queste miniere e ancora una volta il "ce lo chiede l’Europa" diviene un colpo al cuore della nostra civilta’. Non solo minatori, comunque, volti di gente lontana dalla modernita’ alla quale siamo abituati, gente d’uso conquistare la vita con la forza delle braccia e quella lotta resta sui loro volti come un marchio indelebile. Complesso di opere dal forte impatto non v’e’ dubbio, coadiuvato anche da slide show con foto e Arvo Part. Il grande formato immerge lo spettatore nelle vite degli altri e la meravigliosa sala del palazzo con le luci morbide e la delicata penombra fanno tutto il resto. L’unica pecca e’ la sensazione di voler spingere troppo sul pathos, arrivando a truccare i soggetti, falsando cosi’ la spontaneità del volto e l’intento politico dell’operazione.
Hein Gorny
Nel piccolo ma significativo spazio che la scorsa edizione riservo’ a Henry Cartier Bresson, troviamo le foto di Hein Gorny che nulla hanno da invidiare al grande artista francese. Gorny fu un fotografo industriale molto importante nella Germania della prima meta’ del ‘900, rappresentante della "Nuova oggettivita’", movimento che manteneva intatti funzione e forma, cercando o creando nel contempo un’estetica che esaltasse il prodotto e la fantasia.
Piegando la luce emergono nuove geometrie che si stagliano nella serialita’ e nella prospettive sorprendenti, percio’ pur vedendoimmagini commerciali, si resta incantati dai pattern che magicamente prendono vita da semplici aghi o biscotti. Gorny e’ fenomenale, un vero artista che in una sola immagine coniuga l’esperienza del Bauhaus, di Duchamp e Man Ray , lavori che non tradiscono il committente e tantomeno l’anima del fotografo.
Egli non deforma il prodotto , semmai riesce nel difficile compito di inventare qualcosa di totalmente nuovo pur lasciando in primo piano il soggetto scelto. Ecco, se devo pensare ad un insieme compatto di arte e tecnica, di logica e stupore, Gorny ne e’ un perfetto campione. Una delle mostre che ho preferito
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