È il 31 ottobre, il mio treno è in ritardo di venti minuti. Rimango, infreddolito, sulla banchina, le mani in tasca, la musica nelle orecchie. In stazione sono aumentati i senzatetto. C’è un signore, probabilmente schizofrenico, che parla e urla, lo vedo tutti i giorni, spesso dorme accasciato contro il muro del sottopassaggio. Passiamo, di mattina, di pomeriggio, di sera, indifferenti, di corsa, in gruppo, come pecore al pascolo.
Solo che noi non pascoliamo.
Corriamo.
Poi ci sono due donne, una è al binario 11, occupa spesso l’ultima panchina infondo alla banchina. Fuma e va alla ricerca di giornali. Anche lei parla da sola e maledice chi si siede sul suo giaciglio improvvisato, a volte sgrida quelli che, al telefono, parlano ad alta voce. L’altra signora la vedo raramente, ha lo sguardo impaurito, credo sia una donna dell’est. La sera si prepara meticolosamente un posto dove dormire, si toglie le scarpe e si mette, ai piedi, due sacchetti di plastica.
Ci sono persone che vedo tutti i giorni, pendolari come me, dall’aria stanca e rassegnata, uomini e donne, giovani e meno giovani. Stasera il treno è pieno. Ci sono decine di ragazzine e ragazzini che stanno andando chissà dove a festeggiare Halloween. Non si sono mascherati, ognuno sfoggia abiti che sono un vago ricordo degli anni ottanta (senza le spalline). Ci sono emuli di Madonna e Prince. Solo che loro pensano di essere copie di Lady Gaga e Justin Timberlake. Hanno con sé sigarette, alcolici travasati in bottiglie di plastica, alcuni sono già ubriachi prima di arrivare alla meta. L’età va dai 14 ai 19 anni. Cerco un posto a sedere fra le facce stanche, le facce allegre, in questo periodo, non fanno per me. C’è troppa vitalità, troppa speranza in quelle facce e io, in questo preciso momento, voglio stare a sedere in un brodo di insofferenza. Capita, mi dico. Così come capiti di svegliarsi nel cuore della notte e non riuscire più a dormire. O guardare una valigia che si vorrebbe riempire per scappare via, senza dire niente a nessuno. Anche se poi decidi di restare. Per mille ragioni e per nessuna in particolare. Così immagino che questo treno rappresenti un po’ la vita. Scompartimenti carichi di gente giovane, speranzosa e con voglia di fare cagnara. E scompartimenti pieni di gente rassegnata, disillusa, stanca.
Prima di scendere guardo un ragazzo con un codino e i capelli lunghi, assomiglia terribilmente a un altro ragazzo che, in realtà, non ho mai conosciuto. Uno di quelli che frequentava la scuola vicino alla mia e che vedevo ogni giorno prendere la corriera. Non so neppure perché ci sto pensando, lo avevo completamente dimenticato. Eppure ora sento che quel ragazzo, nel tempo in cui anche io lo ero, è stato importante. Forse solo uno dei tanti volti che mi piacevano, oppure la speranza di qualcosa di più.
Dimenticato per quasi sedici anni, torna stasera, alla mente, nella notte degli spettri.
Percorro un altro sottopassaggio, leggo le frasi scritte sui muri, sempre le stesse: “Anna sei la mia vita”, “Giacomo ti amo”, “Marco sei solo una gran tristezza di scoreggia” (questa mi fa sorridere tutte le volte). Prendo la bicicletta nello spazio buio della stazione di Imola, incontro due uomini di origine marocchina seduti su una panca lungo la pista ciclabile, i vecchietti della zona, che non possono più stare al caldo della stazione perché dopo le nove chiude, si ritrovano al binario uno. Sono due mondi separati che forse non si incontreranno mai. Percorro il centro guardando, in fretta, la vetrina degli abiti da sposa. I bambini sono in giro con i genitori a chiedere caramelle e a suonare campanelli. Forse il senso della vita sta davvero in quei geni che passi alla persona che metti al mondo. Oppure sta nei geni di cui decidi di occuparti anche se non sono i tuoi. O nelle tue idee. Nelle tue passioni. Nelle tue lotte.
Eppure continuo a pensare che la vita non abbia molto senso. Credo sia comune fra coloro che non accettano il conforto della fede.
Taglio per una via buia, non ho voglia di vedere i bar affollati e di sentire gli schiamazzi. Questa città, che non ho mai amato e sentita mia, comincia ad apparirmi come il mio luogo. Di notte è ancora più bella con i palazzi e i loro silenzi. Mi trovo, pedalata dopo pedalata, davanti a casa.
Ascolto un istante il mio cuore, il mio respiro, chiudo gli occhi, li apro.
Entro.
Marino Buzzi
Magazine Opinioni
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