La sindrome di Minamata è una malattia neurologica provocata da un avvelenamento da mercurio i cui sintomi sono atassia (perdita del coordinamento muscolare), parestesie (alterazione della sensibilità degli arti), indebolimento della vista, perdita dell’udito, difficoltà ad articolare le parole, disturbi mentali, paralisi, coma e morte. Un quadro altamente drammatico dunque. La sindrome prende il nome dalla cittadina giapponese dove venne ufficialmente riconosciuta nel 1956.
Fu subito chiaro che la causa stava negli scarichi contaminati di metilmercurio che la Chisso Corporation, un’azienda chimica della zona, riversava nelle acque di quella baia fin dal 1938. In tutti quegli anni il mercurio si era depositato sui fondali ed era diventato nutrimento per microrganismi, molluschi e pesci e di conseguenza per tutte le creature del luogo, animali e umani. E infatti i primi a mostrare i segni della malattia furono i pescatori, ma poi sintomi e decessi si diffusero in tutta la popolazione.
Il riconoscimento della sindrome non fu sufficiente a fermare gli scarichi venefici che proseguirono fino al 1968. Anzi, fino a quell’anno la Chisso negò ogni responsabilità e addirittura la presenza di mercurio nelle acque reflue. Tuttavia, anche dopo quell’anno le persone continuarono ad ammalarsi e a morire, ma il governo decise che nessuno dopo quella data poteva essere considerato avvelenato dal mercurio, nonostante la posizione in contrasto della comunità scientifica. Ne derivò che tutti i malati nati dopo il 1969 non godettero dei benefici del programma sanitario messo a punto per la sindrome, anche se ne mostravano tutti i segni.
Ovviamente, le conseguenze del disastro ambientale non furono circoscritte a Minamata, ma richieste di assistenza arrivarono da diverse altre zone del Giappone.
Il fotografo W. Eugene Smith nel 1971 si trasferì insieme alla moglie Aileen proprio a Minamata per far conoscere al mondo la tragedia che lì si stava vivendo. Tra il 1971 e il 1973, dunque, realizzò una serie di servizi fotografici che furono pubblicati in diverse riviste attirando finalmente l’attenzione sulla malattia e sul disastro ambientale che ne era alla base.
Tra le migliaia di immagini, quella che divenne il simbolo di Minamata la vedete in alto. Scattata nel dicembre 1971, mostra Tomoko Uemura, 15 anni, resa deforme dalla malattia contratta nell’utero materno, mentre viene amorevolmente posta nel bagno tradizionale dalla madre Ryoko.
Inizialmente desiderosi di far conoscere la storia della figlia, i suoi genitori, 20 anni dopo la morte di lei avvenuta nel 1977, chiesero che la fotografia fosse ritirata dalla circolazione.
Aileen Smith, che ne possedeva il copyright dopo la morte del marito, decise di cedere i diritti della foto alla famiglia Uemura affinché non potesse essere utilizzata contro la loro volontà e non profanasse la memoria di Tomoko.
La Chisso esiste ancora oggi, non ha più 5 mila operai, ma solo 6oo e ha cambiato nome in Jnc. Si è riconvertita alle tecnologie avanzate, specie per componenti lcd, e alla cosmetica per la quale vengono usati prodotti locali come le bucce di arance.
Minamata negli anni è diventata simbolo dei pericoli dell’inquinamento e dei rapporti da cambiare tra popolazione, imprese e Stato. Proprio nei giorni scorsi una conferenza diplomatica internazionale ha sancito la “Minamata Convention” per la riduzione dell’uso e del commercio del mercurio.
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