Minimalismo, significato ed evoluzione: nasce da questa ricetta un diverso approccio alla fotografia, lontano dall’appiattimento emozionale e dalla massificazione del gusto che spesso penalizzano il lavoro dei giovani talenti emergenti. E interprete di questo modo di gestire l’immagine è proprio un giovanissimo, Nicolas Mazzei, che nasce a Lecco nel 1993.
Durante i suoi studi, Nicolas si approccia in maniera morbosa e quasi famelica alla fotografia: un percorso analitico che lo vede schierato in prima linea. Per capire, per capirsi. Enne Emme, questo il suo nome d’arte, realizza ritratti e shooting in cui annulla la dimensione spazio-temporale, facendo sì che il corpo resti sospeso e immobile.
Un approccio chirurgico, dritto, che non lascia spazio a inutilità e convenevoli. La sostanza supporta una forma minimale, il contenuto giustifica un’estetica povera ma estremamente ricca di significato. Una fotografia, la sua, che si rifà al modus operandi di Karim Sadli, giovane fotografo parigino classe 1980.
Capire Sadli è capire Nicolas: il soggetto, protagonista indiscusso dello scatto, viene ritratto in maniera brusca, senza che abbia il tempo di mettersi in posa, cristallizzandone l’espressione e i movimenti. Un fondo bianco e nulla più, spesso la tecnica che adotta è quella del bianco e nero, per rendere il set ancor più atemporale. La scena è tutta del soggetto: velato, coperto di piume, in movimento seppur immobile.
Il surrealismo entro cui si muove Nicolas cattura l’occhio e traduce il punto di vista del fotografo in qualcosa di immediatamente comprensibile. Un contesto, quello di Mazzei, che si muove a metà strada tra l’immagine digitale e le luci purpuree della camera oscura. L’ultimo dei progetti che lo vede coinvolto in ordine di tempo è un vero e proprio tributo al minimalismo: un gusto estetico ben definito, che emerge con prepotenza; una serie di dittici in cui l’immagine è manipolata e l’attenzione per i cromatismi quasi ossessiva. Un bianco e nero sottile, che esprime con forza concetti e accostamenti ragionati, a metà tra il concept e l’astratto.
«Come per la moda, per la fotografia esistono migliaia di tessuti, di trame, di disegni, e di aghi, pungenti, che aspettano di miscelarsi, compattarsi e uniformarsi. Perché laddove non può arrivare l’occhio, sopraggiunge la mente». Un manifesto, perché non sia solo fotografia, ma un mondo.
Andrea Pesaola