Dichiaro subito, per essere chiaro, che al primo giro di questa iniziativa anch’io ho fatto la mia piccola scorta. Ma perché un brand così blasonato e storico si mette a “svendere” ripetutamente stampe autografe che, per quando di formato piuttosto ridotto, s’immagina dovrebbero avere un valore di mercato maggiore?
La risposta è semplice: la Magnum – anche la Magnum – ha bisogno di soldi.
La situazione generale del mercato fotogiornalistico è nota, le agenzie e i fotografi (con qualche rara eccezione) arrancano, spesso chiudono: si pensi all’italiana Grazia Neri, che ha cessato l’attività pur essendo (o forse proprio per questo) la più grande agenzia fotografica italiana. Un’iniziativa che rompe forse un tabù e dunque coraggiosa quella di Magnum, che però può essere vista e giudicata in due modi contrapposti a seconda del punto di vista: bottiglia mezza piena o mezza vuota? Ma sì – Ammirevoli i nostri. Fotografi affermati, famosi e invidiati, uniti in un collettivo che condivide gioie e dolori, si mettono in gioco e accettano di fare “volontariato” per salvare le sorti non solo della loro agenzia (che è anche una casa, una moglie, una fede) ma di un pezzo di storia. Simbolicamente, se crollasse Magnum, il pessimismo tipico della categoria rischierebbe di diventare cosmico e irreversibile.
E “quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare”, dunque non autolesionismo e cedimento ma reazione attiva con ricadute “socialmente utili”: offrire a tutti la possibilità di iniziare a sentirsi collezionisti, e chissà, poi magari ci si prende gusto.
Insomma, non svendita ma “divulgazione” a fin di bene: proprio e altrui. Ma no – Brutta bestia la paura, fa fare cose che mai uno si sarebbe sognato di fare.
Notoriamente i fotografi di Magnum si accapigliano (da sempre) su molte decisioni, di cui poi devono condividere oneri e onori. Ma in questo caso possibile che nessuno si sia dissociato?
Ce lo vedete il quasi novantenne Elliott Erwitt a dover firmare in un colpo solo migliaia di foto da spedire in tutto il mondo ad altrettanti sconosciuti?
Fosse stata una tantum poteva essere anche vista come una sana provocazione e un’operazione mediatica per attirare attenzione sul problema della deriva economica del fotogiornalismo, problema che in fin dei conti riguarda tutti quelli i cui occhi s’imbattono in una fotografia che può spostare in alto o in basso la qualità dell’informazione, poco importa se su carta o sul web.
Ma l’ondata di foto Magnum a cento dollari va ripetendosi spesso, dunque l’aspetto che prevale è quello di sembrare una mera necessità, senza tante implicazioni e ragionamenti altri. Non prendo posizione, o le prendo entrambe. Lascio a ciascuno la sua visione.
Ho simpatia e ammirazione per la Magnum, in qualche misura anch’io ipnotizzato dal suo mito. Ho anch’io molta preoccupazione per un mercato che si è sgretolato e per la qualità che esiste nell’offerta ma non nella domanda. Sono anch’io stretto tra orgoglio e paura, tra cuore e stomaco. Che poi, alla fine, la domanda non è tanto se c’è ancora spazio per la Magnum o per il “modello Magnum”, ma piuttosto se c’è ancora spazio per quello che ha rappresentato e rappresenta: una fotografia alta, consapevole, onesta e capace d’informare. Una grande finestra sul mondo con i vetri ben puliti. (Seguitemi su Twitter e Facebook) The post Fotografia: se la Magnum vende Erwitt e McCurry a 100 dollari fa bene o male? appeared first on Il Fatto Quotidiano.