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Four Fish – Il futuro dell’ultimo cibo selvatico (merluzzo)

Creato il 25 luglio 2013 da Pietroinvernizzi

Four Fish - il futuro dell'ultimo cibo selvatico di Paul GreenbergLiberamente tratto da “Four Fish – Il futuro dell’ultimo cibo selvatico” di Paul Greenberg, edito da Slow Food Editore nel 2012.

Mi è stato consigliato da un lettore del blog e, ora che l’ho finito, lo consiglio a tutti, pescatori e no. Il libro prende in esame la storia e i metodi utilizzati nella domesticazione di quattro specie (salmone, branzino, merluzzo e tonno) e dell’impatto che questa ha avuto sugli stock selvatici e sull’ambiente. Come spiega Paul Greenberg, è inutile smettere di sfruttare una specie per concentrarsi su un’altra, perché su questo pianeta siamo tanti e nessuna specie è così abbondante da sostenere la crescente domanda mondiale di proteine. Così facendo, l’unico risultato che si otterrà sarà quello di azzerare una popolazione ittica dopo l’altra. Se vogliamo continuare ad avere pesci che nuotano nelle acque della Terra, dobbiamo trovare un altro modo di rapportarci a loro.
Ascoltando la spiegazione di Ames, mi resi conto che quello che immaginava era un qualcosa che, storicamente, ha definito i più stabili rapporti tra esseri umani e animali. Proponeva che un tratto di territorio fosse frammentato in diversi lotti tra pescatori dotati di un’intima conoscenza degli animali dell’area di loro competenza, di dove si riproducevano, di come venivano allevati e della velocità con cui crescevano. In un sistema marino, la grandezza di ogni lotto sarebbe stata misurata secondo la diffusione ecologica di una sottopopolazione di merluzzo (storicamente circa 3500 miglia quadrate), e lì i pescatori avrebbero collaborato con la gestione per adattare le proprie attrezzature non al fine di prendere più pesci, ma per prendere solo i pesci di cui l’ecosistema può sostenere la rimozione.

E un pescatore avrebbe smesso di lavorare il proprio territorio non quando la pesca fosse già diminuita, ma molto, molto prima, quando si fossero osservati i segnali dell’arrivo di un periodo sensibile e critico nel ciclo vitale di un determinato pesce. La comparsa di adulti gonfi di uova e sperma pronti per deporre potrebbe essere un segnale per non pescare uno stock. Un altro potrebbe essere l’afflusso di giovani nella zona: creature immature e fragili, troppo piccole da vendere, ma allo stesso tempo fondamento di future generazioni di pesca commercializzabili. Insomma, pesci che sono molto più preziosi in acqua che morti nel ghiaccio.

Ascoltando Ames, mi resi conto che secondo lui i pescatori, gli ultimi cacciatori-raccoglitori del mondo, erano diventati pastori. L’unica differenza era che questi pastori avrebbero lavorato insieme con gli scienziati e i gestori, attraverso i loro consigli consultivi, per capire come la tecnologia moderna avrebbe potuto aiutarli. Pescatori come pastori. Mi piaceva l’idea. Sembrava giusta, naturale ed equilibrata. Sembrava il tipo di approccio che avrebbe permesso ai pescatori di piccola scala e ai piccoli porti di continuare a lavorare. Poiché di solito i pescatori sono che conoscono più intimamente il comportamento ittico, forse una piccola spinta nella direzione della zootecnia avrebbe potuto risolvere l’equazione della sovrapesca. Inoltre, capivo l’importanza di consentire ai pescatori di mantenere un’ancora in acqua. Se non c’è nessun’altro che la rivendichi, gli esseri umani tendono a sovrasfruttare una risorsa. Un pescatore istruito e consapevole potrebbe essere una specie di custode, qualcuno che ama e capisce l’ecologia locale, qualcuno che continua a opporsi alla ricerca di petrolio e di gas, agli scavi o a qualsiasi altra cosa l’uomo escogiti per sfruttare le nostre coste negli anni a venire.

E, seppur lentamente, pare che il concetto del pescatore-custode cominci a lasciare un’esile impronta sul mercato. La Cape Cod Commercial Hook Fishermen’s Association (“associazione di pesca commerciale con l’amo di Cape Cod”), fondata nel 1991, ha riunito un gruppo di pescatori di piccola scala che usano attrezzature come ami e lenze a basso impatto per pescare merluzzi e altri pesci di fondale presso le aree accessibili del Georges Bank. L’Association des Ligneurs de la Pointe de Bretagne (“associazione delle imbarcazioni di Pointe de Bretagne”) sta intraprendendo iniziative simili per quanto riguarda i resti della popolazione di branzini selvatici al largo della costa francese. Nel 2008 l’associazione si autoimpose un divieto sulla pesca del branzino dal 15 febbraio al 15 marzo, la stagione in cui il pesce depone le uova e si trova nel momento di maggiore vulnerabilità.

Ma c’è chi sostiene che fare i pastori di pesci costituisca un passo intermedio e che, se vogliamo diventare davvero efficienti e produttivi, dobbiamo andare oltre, verso l’allevamento totale del merluzzo, come abbiamo fatto col salmone e col branzino: un percorso interamente controllato in cui il merluzzo è tolto dal classico ambiente naturale dai molteplici input e gestito dalla zootecnia umana della monocoltura.



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