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Fra’ Dolcino: andando di cronaca in cronaca

Creato il 23 maggio 2011 da Emanuelesecco

«Ogni battaglia contro l’eresia vuole solamente questo: che il lebbroso rimanga tale.»1

«L’illusione dell’eresia è questa. Ciascuno è eretico, ciascuno è ortodosso, non conta la fede che un movimento offre, conta la speranza che propone. Tutte le eresie sono bandiera di una realtà dell’esclusione.»2

«Questo Dolcino era il bastardo di un sacerdote, che viveva nella diocesi di Novara, in questa parte dell’Italia, un poco più a settentrione. Qualcuno disse che nacque altrove, nella valle dell’Ossola, o a Romagnano. Ma poco importa. Era un giovane di ingegno acutissimo e fu educato alle lettere, ma derubò un sacerdote che si occupava di lui e fuggì verso oriente, nella città di Trento.»3

 

fradolcino

Il motivo per cui voglio parlarvi di fra’ Dolcino, figura ampiamente documentata da cronache dell’epoca molto discordanti tra loro, è che, nel precedente post, ho usato un’immagine ritraente il suo volto per collegarmi in modo più efficace al tema dell’eretico.
Perché proprio lui: diciamo che è una delle figure che più mi ha colpito da bambino, quando per la prima volta vidi in tv il Mistero Buffo di Dario Fo e Franca Rame, e leggendo poi Il Nome della Rosa di Umberto Eco. Come potrò mai dimenticarmi delle parole pronunciate da Guglielmo da Baskerville, o da Dario Fo nell’introduzione del pezzo riguardante papa Bonifacio VIII (al quale sarebbe interessante dedicare un post in futuro), a proposito del suddetto personaggio.
L’intento di questo post è spiegare un po’ la storia che v’è dietro questo personaggio, facendo un po’ il confronto tra varie fonti, tra cui quelle menzionate nel paragrafo precedente.

Fra’ Dolcino, o Dolcino da Novara, si pensa sia nato nel 1250, fra Romagnano e Prato Sesia, nell’attuale provincia di Novara. Alcune ricostruzioni posteriori, per squalificarne la nascita, sostennero che Dolcino fosse il frutto dell’unione di una donna del posto con un prete, indicato come il parroco di Prato Sesia.
La sua definizione di “frate” viene messa in dubbio da parecchie fonti, ma quello che sappiamo per certo è che nel 1291 Dolcino entrò a far parte del movimento degli Apostolici (o Insaccati) guidato da Gherardo Segarelli (di cui magari parlerò in un altro post).
Nel luglio del 1300 il movimento degli Insaccati (chiamato così da molte cronache del tempo) venne represso dalla Chiesa Cattolica, e Gherardo Segarelli bruciato sul rogo il 18 dello stesso mese.
Uno dei pochi che riuscirono a fuggire alla cattura fu, appunto, Dolcino, che continuò imperterrito la sua opera di predicazione, riguardanti la volontà di riportare la Chiesa in una veste di povertà, soprattutto nelle campagne del Vercellese. Numerose sono le testimonianze a riguardo del tipo di predicazione che usava compiere: si poteva trovarlo per le campagne, a predicare ai contadini convincendoli, in particolare, che la terra non appartiene al padrone, ma a chi la lavora. Sentendo queste parole, i contadini si convinsero a stracciare i contratti che li legavano al padrone delle terre, prendendo a sassate coloro i quali si presentavano per ritirare il raccolto, per poi seguire Dolcino nella creazione della sua comunità perfetta. I comunitardi, così si chiamavano, contavano tra le proprie file varie migliaia di individui (qui le cifre variano da cronaca a cronaca). Qualche cronaca di parte avversa giura che Dolcino prese parte a una serie nutrita di omicidi a danno del prete e dei suoi esponenti più abbienti.
Ne Il Nome della Rosa, possiamo trovare due personaggi sospetti di aver fatto parte in passato delle fila dei dolciniani: il gobbo Salvatore e Remigio da Varagine. Nel libro, il discorso su fra’ Dolcino prende vita quando si sente il gobbo urlare la parola penitenziagite. Questo termine, abbreviazione in volgare della frase latina Poenitentiam agite, appropinquabit enim regnum caelorum fu il motto del movimento degli Apostolici fondato da Segarelli (vedi sopra) e poi fatto proprio dal discepolo Dolcino.

Nel 1303, predicando nei dintorni di Trento, Dolcino conobbe la giovane Margherita, donna alla quale vari cronisti sono concordi nell’attribuire una bellezza straordinaria. Margherita divenne la sua compagna di vita e di predicazione.
La comunità alla quale diede vita Dolcino, e che si andò a stabilire tra il Vercellese e la Valesia, aveva come cardine il concetto di credenza (definizione secondo la comunità di Sant’Ambrogio): «un armadio enorme, immenso, tutto fatto a stive, con tanti sportelli di legno particolari, nei quali si conservavano i generi alimentari della comunità, il grano dall’umidità, tutto quanto potesse servire alla comunità nei periodi di carestia»4. A Vercelli non si aspettava la carestia per dividere i beni tra i comunitardi: si radunava tutto il raccolto e lo si distribuiva a ciascuno secondo il bisogno, non secondo la rendita.
Nel Mistero Buffo di Dario Fo, possiamo trovare notizia di un assalto alla città di Novara, da parte dei comunitardi, generata dagli esiti di una spedizione punitiva organizzata dal conte di Monferrato, durante la quale vennero catturati circa duecento dolciniani e vennero tagliati loro mani e piedi.
Il massacro degli sgherri e dei boia massacratori, ad opera dei Dolciniani, della città di Novara viene testimoniato da varie cronache del tempo. A quel punto i comunitardi riuscirono persino a convincere la popolazione a rendersi libera e a organizzarsi a sua volta in comunità. In breve tempo, secondo alcune cronache, mezzo Piemonte e mezza Lombardia si ribellarono al potere dei nobili e della Chiesa.

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Vista la situazione, molti conti e duchi della zona, decisero di far presente la situazione a Roma, che vedeva già di cattivo occhio la predica Dolciniana.
Con il beneplacido di papa Clemente V, nel 1306, venne organizzata una vera e propria Crociata contro fra’ Dolcino e i suoi numerosi seguaci. A lungo si è ritenuto che i valligiani tra il Biellese e la Valsesia l’avessero addirittura anticipata aderendo allo Statutum Ligae contra Haereticos, redatto già il 24 agosto 1305. Studi più recenti hanno dimostrato che il documento è un falso, confezionato alla fine del sec. XVIII in ambienti clericali per dimostrare l’esistenza di un movimento popolare antidolciniano si dalle origini della sua predicazione del Biellese.
Molto probabilmente l’esercito (senza contare gli uomini del duca dei visconti, dei Modrone, dei Torriani, dei Borromeo, del conte di Monferrato e dei Savoia) reclutato al fine di sterminare Dolcino e i suoi seguaci contava ottomila uomini di origine tedesca.
Visto l’esercito che li minacciava, i comunitardi decisero di riunirsi e di appostarsi, fortificando le postazioni, sul Monte Rubello, monte del Ribelle (oggi conosciuto come monte San Bernardo). Il monte venne preso d’assedio dalle truppe della Crociata. L’inverno avanzò e la collettività Dolciniana, pur soffrendo la fame e il freddo, continuò a resistere.
Nella settimana santa, precisamente il 23 marzo, del 1307, le truppe riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino e i suoi seguaci. I pochi superstiti (tra cui Dolcino, Margherita e pochi altri) vennero massacrati uno ad uno.

Fra’ Dolcino fu processato a Vercelli e condannato a morte. Sappiamo per certo che Margherita venne arsa viva, e che a Dolcino spettò un’esecuzione pubblica esemplare: venne torturato a più riprese con tenaglie arroventate e gli furono strappati il naso e il pene. Si dice che Dolcino sopportò tutti questi tormenti senza gridare né lamentarsi. Infine fu issato sul rogo e arso vivo.

 

E pensare che le cose che avete appena letto vengono totalmente ignorate dai libri di storia, oppure appaiono in maniera molto concisa. Un altro esempio di come la storia, raccontata sempre e comunque dai vincitori, venga sempre manipolata e/o cancellata.
Sperando di avervi fatto cosa gradita,

E.



1. Umberto Eco, Il Nome della Rosa, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1980, p. 206
2. Ibidem, p. 206
3. Ibidem, p. 228
4. Dario Fo, Mistero Buffo, RCS Libri S.p.A., Milano, 2006, p. 264

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